nostro inviato a Napoli
Di certo è uno spettacolo forsennato, questo in piazza Plebiscito, tra il palazzo reale e la Basilica di San Francesco, quando Pino Daniele sale sul palco per dire a Napoli eccomi qui. Laveva presentato - lui che nei camerini aveva appena litigato con un giornalista - Milly Carlucci insieme con Ciro Ferrara e Fabio Cannavaro perché questo Vai Mo 2008 è stato trasmesso in diretta da Raiuno e immaginatevi che boato in piazza quando sono saliti quei tre, con le telecamere già accese e lentusiasmo illuminato fino al cielo (con tanto di messaggio di ringraziamento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi).
Poche storie, Pino Daniele qui è un simbolo e il pubblico cè chi dice cinquantamila persone lo ha coccolato a suon di cori fin dal pomeriggio, mentre lo scirocco scivolava benefico sulla pelle. Poco prima, lui aveva detto che «io volevo lo stadio San Paolo ma questo concerto è arrivato in un momento di emergenza totale per Napoli...». E così si è, diciamo così, accontentato di piazza del Plebiscito, dove proprio 27 anni fa aveva tenuto un altro concerto straordinario che fu, forse senza neppure volerlo, una consacrazione per lui e per il «neapolitan power» che è stato così importante per il pop italiano da essere recuperato proprio oggi che Napoli e i suoi dintorni sono coperti dalla monnezza e dalle sue sporche conseguenze. E forse proprio per questo lo show di Pino Daniele e dei suoi ospiti da Gigi DAlessio fino a Giorgia, Irene Grandi, Avion Travel, Chiara Civello e un elegantissimo Nino DAngelo è un segno della rinascita della città, che si è mostrata preoccupata ma allegra, vogliosa di ricominciare anche solo dalle parole di speranza.
«Devo dire grazie al ministro dellAmbiente Stefania Prestigiacomo che mi ha subito dato una mano», aveva detto Pino Daniele che poi ha lamentato - e per questo litigava con il giornalista colpevole di aver riportato male il suo pensiero - la scarsa collaborazione del sindaco Antonio Bassolino «ma solo perché era in un momento di difficoltà». Dichiarazioni che hanno fatto infuriare il governatore campano, sceso dietro le quinte per un chiarimento con il cantante dai toni piuttosto aspri. Poi il concerto. Vestito di nero, seduto sul seggiolino chitarra alla mano mentre canta Appocundria, Pino Daniele è davvero il re di Napoli che ringrazia «le formazioni, le band, gli artisti, tutti» e prova a dare una scossa quantomeno simbolica a una città in ginocchio. E sarà per questo che quando inizia Napulè, canzone simbolo, canzone difficile da dimenticare, arrivano tutti gli ospiti da Nino DAngelo a Gigi DAlessio (fischiato da un pubblico troppo ostile) per snocciolare i versi di una canzone che recita «Napoli non è una carta sporca» e quindi in questo momento ha un significato che va ben oltre il pop e diventa sociale, quasi politico.
Certo, a Eduardo De Filippo scappò quella parola, «fuitevenne», andatevene da Napoli, ma fu detta, come anche Pino Daniele tiene a precisare, «in un momento in cui a Napoli era difficile fare arte, non cerano teatri, si recitava negli stabilimenti balneari». Ora è il momento di reagire e forse questo pubblico in questa piazza simbolica va oltre la musica e non vuole fermarsi alla monnezza. «Tullio De Piscopo!» annuncia Pino Daniele quando inizia Yes I know my way e cè tutto il neapolitan power sul palco, e pure in platea, in un turbinio di ritmi come raramente capita di ascoltare in Italia. Se proprio bisogna dare una definizione a questo concerto, è stato il trionfo della vitalità di un sound, quello italiano, che va ben oltre le rigide definizioni e riesce a mescolare influenze africane, americane, mitteleuropee in una festa di suoni che nessun Paese del mondo riesce ad avere così nitidi, così netti.
E allora ecco che un concerto di oltre due ore da A testa in giù e Je so pazzo fino alla conclusiva Che Dio ti benedica - diventa una celebrazione suonata in modo strepitoso da maestri come James Senese al sax o Tony Esposito alle percussioni che sul palco accompagnano Pino Daniele in quella che è la celebrazione dei suoi trentanni e rotti di carriera e il suo ritorno al pubblico, quello autentico, quello che suda ai concerti e poi prova a farlo anche nella vita di tutti i giorni.
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