Ma scusate: e le donne? S’intende: le donne artiste, le cantanti, insomma le quote rosa del concertone del Primo maggio? Disperse. Inesistenti o quasi. Non una Fiorella Mannoia, una Cristina Donà, neppure una delle tante e bravissime artiste che lamentano sempre di non avere spazi televisivi per mostrare la propria arte. Zero. Niente. Eppure sono state invitate tutte. Nel cast però ci sono soltanto la promettente Erica Mou, la cantautrice jazz Chiara Civello, bravissima ma di ultra nicchia, e Paola Turci dispersa tra i coristi della Bandabardò. Tutte schiaffate a metà pomeriggio.
Poi basta. Niet. Fine. Tutto il resto è uomo, da Francesco De Gregori e Lucio Dalla fino a Finardi e Modena City Ramblers o Edoardo De Angelis.
Intanto spieghiamo: oggi pomeriggio su Raitre va in onda il tradizionale e alluvionale concertone organizzato da Cgil, Cisl e Uil (anche se, dicono, l’anima è la Cisl mentre Cgil e Uil aderiscono solo di facciata). Sette ore di diretta, una roba che la tv di Stato non dedicherebbe neanche a un nuovo Live Aid o alla impossibile reunion dei Beatles. Sette ore golosissime per gli investitori pubblicitari. Sette ore che valgono milioni e milioni di contatti televisivi. Il titolo del concerto è ridondante assai: La storia siamo noi, la storia, la patria, il lavoro. Nientemeno. E il sottotitolo, sottinteso ma egualmente ridondante, è chiaro a tutti visto che è identico da almeno quindici anni: abbasso Berlusconi che è la rovina di tutto, che se non ci fosse sarebbe meglio, che limita la libertà d’espressione a noi poveracci.
Per capirci quanto la limiti, oggi Neri Marcoré, che finalmente è il presentatore in capo e farà di sicuro il suo dovere visto che è bravo, canterà qui in piazza San Giovanni di fronte soltanto a tre o quattrocentomila spettatori, a poche centinaia di metri da Palazzo Chigi e pure da Palazzo Grazioli, la canzoncina L’immunità, musicata sulla radice della Felicità di Al Bano e Romina e satiricamente dedicata al presidente del Consiglio ma «senza nominarlo» come ha precisato lui ieri dopo le prove mattutine. Alla faccia dei limiti.
E della par condicio. Anzi, per dirla tutta, dopo la canzoncina ci saranno un po’ di battute anche «contro» l’opposizione e avrebbe potuto esserci pure la rivisitazione di un capolavoro di Gino Paoli intitolata per l’occasione Senza Fini. Però, visto che Gino Paoli è nel cast e «Fini non si sa se faccia parte del governo, dell’opposizione o del Terzo polo», si è preferito evitare.
Sapete, problemi di par condicio. Vabbé. In ogni caso al concertone della Triplice non c’è par condicio tra uomini e donne. Uomini come se piovesse. Donne no. Ci saranno Gherardo Colombo a parlare di democrazia e Ascanio Celestini a raccontare della Repubblica Romana del 1849. Ma donne il minimo indispensabile. L’infaticabile organizzatore Marco Godano ammette che «è un problema». E grosso, per giunta. Questo dopotutto non è un concerto come un altro. È il concerto della Festa dei lavoratori, il simbolo della parità dei diritti e dell’uguaglianza sociale. Benissimo. E dove sono le artiste che per tutto l’anno protestano contro la società maschilista oppure contro la mancanza di spazi per esprimersi liberamente?
Desaparecide.
Neanche la Triplice sindacale riesce a convincerle, tutto dire. Magari, figurarsi, è una questione di cachet, visto che qui i compensi sono bassi assai. In realtà, per Godano, «alcune di loro hanno realmente paura di una folla così grande». E c’è da capirle.
Ma le altre? E in fondo questo non è un problema qualunque: è la solita vecchia liturgia di chi parla e parla, si lamenta della bieca discriminazione maschilista ma poi fa finta di nulla perché, alla fine, gli slogan fanno comodo a tutte. Ma mettersi in gioco conviene a poche. Altro che volatili chiacchiere dalla Dandini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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