Concerto Al Teatro San Carlo

da Napoli

Benvenuti nell’era 2.0, fra chat, forum, youtube, facebook, myspace, twitter. I nostri pollici prensili ballano sulle tastierine di aggeggi vari perché la community ci attende. Ma alla fine scopri che è passato più di un secolo e mezzo da quando il Risorgimento ebbe per palcoscenico i teatri d’opera italiani, e ancora questi nostri teatri continuano a essere la pancia d'Italia.
Prendete la serata di sabato, al teatro San Carlo di Napoli. Ufficialmente si teneva il concerto di chiusura per i festeggiamenti del compleanno d’Italia, con Riccardo Muti alla direzione del Coro e Orchestra partenopei nel Requiem di Giuseppe Verdi. E quio c’’è la Napoli che conta. C’è una corazzata di politici della vecchia e nuova leva. Partiamo dal palco reale con i ministri Paola Severino, Annamaria Cancellieri, Lorenzo Ornaghi e il sindaco Luigi De Magistris presidente del Cda nuovo di zecca: insediatosi proprio il mattino. Fra i palchi e la platea siedono Gianni Letta, Antonio D’Amato, Cesare Romiti, Giovanna Melandri, Stefano Caldoro (per la regione), l’ex governatore Antonio Bassolino. Ci sono giornalisti, Giuliano Ferrara, la superstar della danza Roberto Bolle, Franca Valeri. Lo share schizza in alto quando arriva Roberto Benigni, che alla fine uscirà di soppiatto dal retro del teatro, ma l’ingresso è trionfale, così vuole Roberto “Magno”: percorre il corridoio centrale, torna indietro, applauso, foto, due battute, poi siede.
Quindi si parte, Maestro sul podio e via con il Requiem che scorre nella sua imponenza. Ci sono i fremiti tellurici e terribili del Dies Irae che ti inchiodano alla poltrona, e ti senti un convitato di pietra. C’è la passionalità e il dramma di Verdi, uomo di teatro. C’è una religiosità latina che imprime il fuoco anche ai momenti più introversi. Ottimo il quartetto dei solisti, con punta nel mezzosoprano Sonia Ganassi. Alla fine, applausi in crescendo, ovazioni. «Sei grande», gli dicono. «No, sono solo napoletano» risponde Muti che prende la parola dando un taglio particolare alla serata: lo richiede il parterre e lo sollecitano i tempi. Inizia generico, «questa serata è l’inizio di tante cose, dentro e fuori il teatro». A un certo punto guarda fisso verso il palco reale, perché lì si concentrano «le persone responsabili della vita di questo Paese. Da oggi si volta pagina - continua-. Si dice che prima si mangia poi si fa tutto il resto. Vero, ma senza la cultura la società di atrofizza, lo dico da 40 anni. State vicini a questo teatro». Chiude con un sussulto di napoletanità: «Io sono tosto non perché ho studiato a Vienna o Berlino, ma a Napoli. Noi siamo disciplinati e tenaci».
Sul pugno ferreo e la determinazione di Muti non vi son dubbi. Per il resto, si orbita nella sfera degli auspici. Il San Carlo a lungo è stato l’emblema di amministrazioni sprecone, di conti in rossi ripianati a duro prezzo con la gestione del commissario risanatore nonché capo di Gabinetto dei Beni culturali Salvo Nastasi. Proprio l’uomo che, nel volgere di un’ora, il 17 mattina, è uscito dalla finestra del San Carlo come commissario entrandovi dal portone come membro del Cda (per inciso: fatto di soli politici). Nel sabato della svolta, nella sala dei bottoni affollata di vecchie e nuove conoscenze, si è chiarito che De Magistris non sarà «un presidente notarile e di rappresentanza, eserciterò il ruolo fino in fondo», ha messo in chiaro il sindaco.
Nel frattempo, come tutti gli enti culturali d’Italia, deve andare incontro anche agli sponsor.

A tal proposito, il ministro Ornaghi ribadisce la necessità di puntare su una politica di defiscalizzazione per chi investe nella cultura. Voltare pagina è anche questo: far sì che le passerelle delle grandi soirée celebrino munifici donors e non siano solo bagni di notorietà autoreferenziale per teatri usati a proprio uso e consumo.

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