CONDANNE PRESUNTE

Gli ispettori del ministero dovranno con tutta urgenza verificare come sia potuto accadere che un assassino condannato in primo grado a trent’anni di reclusione sia stato rimesso in libertà, due anni e mezzo dopo la sentenza, per scadenza dei termini di custodia cautelare. Ma è inutile farsi illusione. L’inchiesta approderà a poco o niente sia per lo sbarramento di principi costituzionali, di norme processuali e di cavilli regolamentari che le verrà opposto, sia perché - è doloroso dirlo - il caso di Luigi Campise, omicida passeggiante per le strade d'Italia, non è una drammatica eccezione. Altri innumerevoli colpevoli d’innumerevoli reati, riconosciuti tali da una pronuncia giudiziaria, non si macerano nelle celle dei penitenziari ma possono godersi il sole d’agosto al mare o in montagna.
La maggior parte di questi obbrobri non ha, per fortuna, la gravità di quello denunciato dal padre di Barbara Bellorofonte o di quello di cui Stefano Zurlo riferisce sul Giornale oggi. Ma tutti, anche i minori, dimostrano che nel Bel Paese il crimine paga. Il difensore di Campise ha lodato come ineccepibile la scarcerazione del giovanotto, e si è appellato a valori democratici e di libertà. Altri, molti altri, ritengono che la democrazia sia ben tutelata se chi ha ammazzato una ragazza è in galera, non a spasso.
Molti elementi concorrono - lo scrivo da profano, non da addetto ai lavori - a determinare questa situazione. Uno di essi è sicuramente l’insufficiente laboriosità dei magistrati. Troppi delinquenti sono rilasciati per ritardi nell’adozione di provvedimenti indispensabili. Ma al di là di questo - che già appare intollerabile - c’è una farraginosità paralizzante dei meccanismi legali. I termini di custodia cautelare debbono essere ragionevolmente fissati avendo in mente i tempi d’una giustizia normale. Se quella giustizia arriva a una pronuncia definitiva dopo dieci anni, l’intera logica del delitto e del castigo va in frantumi.
Aggiungo una considerazione che scatenerà le ire di quanti avvocati la leggeranno. La formula sacrale del presunto innocente fino a sentenza passata in giudicato diventa - quando il giudicato tarda anni e anni - un grazioso omaggio ai poco di buono e una beffa ai galantuomini. Dopo i trent’anni per aver accoppato Barbara Bellorofonte il Campise se n’è visti appioppare altri quattro - virtuali come i trenta - per vicende legate a droga o altro. E dovremo continuare a considerarlo un presunto innocente, dovremo sentirci ripetere fino alla nausea che quella presunzione è motivo d’orgoglio per la giustizia italiana? Sono - gli avvocati mi subisseranno di critiche - d’avviso opposto. Il condannato è colpevole, restando apertissime per lui tutte le possibilità di appello grazie alle quali potrà eventualmente dimostrare d’essere stato vittima d’un errore giudiziario. Allo stesso modo il Pm potrà fare ricorso contro le assoluzioni. L’impedirglielo potrebbe a mio avviso provocare situazioni inaccettabili. Lorenzo Bozano che uccise Milena Sutter e fu inspiegabilmente prosciolto in primo grado, se la sarebbe cavata per sempre.
Per l’autunno è prevista la discussione d’una riforma del processo penale che dovrebbe almeno attenuare alcune delle sue più evidenti disfunzioni. Si tratta di misure che ritengo in buona parte condivisibili (come il concedere maggiore autonomia agli organi di polizia, attualmente troppo soggetti alla supervisione di magistrati non di rado giovani, inesperti, presuntuosi). Sono meno d’accordo su altre norme che, volendo limitare la discrezionalità del Pm e dei giudici quando dev’essere deciso un arresto, impongono che la richiesta di custodia cautelare abbia il visto del capo della Procura o una conferma collegiale.

Accade senza dubbio, ed è deplorevole, che un arresto sia deliberato con leggerezza. Ma il male profondo della giustizia italiana non sta, diciamocelo francamente, nei troppi mandati di cattura immotivati, sta nelle ben più immotivate messe in libertà.

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