Confindustria: sul Tfr il governo dice bugie

L’associazione guidata da Montezemolo: «Non c’è stata concertazione, misura ingiusta e sbagliata. In ogni caso abbiamo proposto di escludere chi ha meno di 250 dipendenti»

Gian Maria De Francesco

da Roma

Confindustria smentisce il governo. Il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ieri nel corso dell’audizione alla Camera sulla Finanziaria ci ha provato a scaricare sugli imprenditori la responsabilità del prelievo forzoso del Tfr su tutte le aziende a partire dal 2007. Ma gli è andata male.
«Confindustria stessa - ha detto il ministro - ha suggerito di applicare la norma del Tfr a tutte le imprese indipendentemente dalla loro dimensione e non differenziando, ad esempio prevedendo il 100% dalle più grandi e niente dalle piccole». Quasi una denuncia. Il ministro dell’Economia ha così sottolineato che la possibilità di risparmiare le Pmi dalla tenaglia sulle liquidazioni ci sarebbe pure stata, ma il vertice di Viale dell’Astronomia (che fa riferimento alle grandi imprese) ha stoppato la proposta per non vedere l’intera posta sfumare dallo stato patrimoniale. «Forse questa scelta va riconsiderata, credo che si potrà rivedere», ha concluso Padoa-Schioppa aprendo a eventuali modifiche.
Gli imprenditori non sono rimasti fermi al palo. «Sulla vicenda del Tfr non c’è stata alcuna concertazione come ha riconosciuto lo stesso ministro a Capri», si legge in una nota. Ma c’è di più. Pochi giorni prima del varo della Finanziaria, Confindustria, informata della misura «determinante per la manovra», ha chiesto delle franchigie e di ipotizzarla «solo per le imprese oltre i 250 dipendenti». «I trasferimenti non sarebbero sufficienti», è stata la risposta del governo. E come nella due giorni caprese, la litania confindustriale è la stessa: «L’idea del trasferimento forzoso del Tfr è ingiusta e sbagliata».
Il siparietto di ieri ha un duplice risvolto: uno di merito politico e l’altro di metodo. Il primo punto riguarda i rapporti tra Viale dell’Astronomia e Palazzo Chigi. Dopo le schermaglie estive sulla ministangata del decreto Bersani-Visco, il termometro delle relazioni Montezemolo-Prodi ha virato sempre più verso il cattivo tempo. La prima bufera si è registrata con il caso Telecom. Il leader degli imprenditori ha difeso la posizione del vicepresidente di Confindustria, Marco Tronchetti Provera, in aperta polemica con il premier definendo i suoi propositi neostatalisti «un’invadenza desolante». Un’ammissione implicita del fatto che Palazzo Chigi sapesse dei piani di riassetto del gruppo di telecomunicazioni. Ieri, l’associazione degli industriali ha messo in soffitta il tradizionale understatement sconfessando la dichiarazione del ministro dell’Economia. Già durante il convegno dei Giovani imprenditori si erano avute le prime avvisaglie del conflitto con Padoa-Schioppa, il quale aveva ammesso di aver fatto intendere a Confindustria che per salvare il Tfr si sarebbe dovuto mollare il taglio del cuneo fiscale.
Ed è proprio da questa contrapposizione che comincia a porsi il problema del metodo. Le divisioni interne a Confindustria hanno progressivamente spostato l’asse del dialogo con Palazzo Chigi, partito da posizioni soft. La mobilità lunga (che consente alle grandi imprese di liberarsi in anticipo degli esuberi), il bonus bollo per le auto «Euro 4» e la rottamazione dei frigoriferi (provvedimenti della Finanziaria favorevoli a Fiat e Merloni) hanno scontentato la base delle Pmi che si trova a fronteggiare la riforma del Tfr e l’aumento dei contributi previdenziali. A Capri Montezemolo, dopo un sofferto confronto interno, si è fatto carico di queste istanze rappresentate a Padoa-Schioppa non solo nel discorso ma anche nel corso di un pranzo sabato scorso. La manovra va modificata tagliando le spese e adottando misure che non ostacolino lo sviluppo delle aziende.
Oggi il presidente di Confindustria ribadirà le proprie richieste nel corso di un’audizione alla Camera.

E se non ci saranno sbocchi, il Comitato di presidenza di domani potrebbe riservare sorprese. Ieri Prodi ha proposto di trovare «rimedi per le sofferenze delle imprese minori». Ma potrebbe trattarsi solo di un tentativo isolato di riannodare un filo spezzato.

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