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Consigli Il momento è pessimo ma è un’occasione da non perdere

Il Papa in Israele e a casa dei palestinesi è una grande occasione, proprio perché il momento di questo viaggio è pessimo. Mai il nodo dei problemi è stato così gordiano, e dunque mai tanto opportuno cercare di dire davvero qualcosa che, come nei progetti della Santa Sede, promuova la pace nei cuori e fra le parti. Israele e i palestinesi hanno interessi contrapposti e ciascuno parlerà al Papa così da convincerlo alla sua causa. Ma, se ci possiamo permettere un consiglio, il Papa potrebbe utilmente attenersi ai temi della verità e della libertà religiosa.
La verità: il Papa andrà a Yad Vashem, il museo della Shoah, la cui eccezionale rappresentazione di certo gli solleverà emozioni e pensieri, specie a lui tedesco (un aspetto, questo, di cui Israele discute in tesa sospensione). Oggi, mentre è in atto un attacco senza precedenti alla memoria dell’Olocausto capeggiato dal presidente iraniano Ahmadinejad, la negazione della Shoah è diventata l’aggancio politico, ormai istituzionalizzato, per una narrativa antisemita diffusa che si conclude con la distruzione dello Stato d’Israele. Se il Papa chiarirà fino in fondo il senso malefico del negazionismo compirà giustizia anche rispetto all’episodio del vescovo Williamson, ma soprattutto se indicherà il negazionismo come un peccato dello spirito, più che come un errore storico, questo sarà un gesto da ricordare nella storia della pace. E allora un suo ritornare sulla storia di Pio XII non sarà visto come una prepotenza, ma come una proposta di discussione.
Il Papa, quando andrà a Betlemme, visiterà un campo profughi, Aida, da cui, mi si dice, si vede la barriera di divisione, che a Betlemme, città dei molti attacchi terroristi delle Brigate di Al Aqsa, è in parte un muro. Qui i palestinesi, che dopo la guerra di Gaza hanno già chiesto al Pontefice una visita schierata, cercheranno probabilmente di estrarre il massimo in termini di solidarietà. E il Papa certamente gliene accorderà, secondo gli stilemi classici dell’occupazione israeliana e della miseria palestinese. Su ciò ci sarebbe molto da dire, ma ci limitiamo a questo: se il Papa, che naturalmente suggerirà a Israele di accordarsi finalmente su “due Stati per due popoli”, saprà anche guardare ai danni inflitti ai palestinesi dalle loro leadership, aliene a tutti gli accordi e sempre propense a scelte di violenza e terrorismo, se saprà dire una parola sull’enorme miglioramento che la cessazione della violenza può portare nelle loro vite, questo sarà un gran passo avanti. I muri cadono quando non ce n’è necessità. Inoltre sarebbe bello che il Papa nella città in cui è nato Gesù dicesse una parola di affetto per quei cristiani palestinesi espulsi (checché ne dicano molti cittadini impauriti) dalla persecuzione islamista: questo li aiuterebbe ben di più della comune finzione che le colpe siano sempre di Israele. Per esempio la vita dei cristiani di Gaza è disseminata di omicidi e di esplosioni: la Chiesa deve difendere i cristiani dai loro veri nemici.
La libertà religiosa: i cristiani di Israele sono oggi 150mila, mentre nel ’48 erano 34mila. Una crescita di più del 250 per cento. Israele è l’unico Paese in cui i cristiani abbiano goduto di una crescita demografica, l’unico in cui i luoghi di culto siano liberi senza limiti, come non lo erano durante la dominazione giordana. Certamente i cristiani hanno, come tutte le minoranze, le loro rivendicazioni, anche se, a quel che so, il regime di tassazione e le opere di restauro godono di una legislazione collaborativa. Comunque, se il Papa pensa non sia diplomatico esprimere apprezzamento diretto per la libertà religiosa in Israele, sarebbe bello che invece visitasse il centro Bahai di Haifa (l’idea è dello studioso di Islam Denis Maceoin che l’ha scritto sul Catholic Herald), alcune leggiadre costruzioni nel mezzo di un grande parco fiorito. I Bahai, perseguitati, uccisi, imprigionati ovunque ma specie in Iran, hanno trovato rifugio e aiuto in Israele. Sarebbe magnifico che il Papa visitandoli proclamasse il suo orrore per qualsiasi tipo di persecuzione o discriminazione religiosa. Sarebbe un messaggio oggi fondamentale per il mondo intero. Farebbe di questa visita una pietra miliare.
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