Un container come casa e la spesa tra i rifiuti

Un container come casa e la spesa tra i rifiuti

(...) Quella degli immigrati che muoiono di fame e freddo nel salotto chic della città, o rischiano di morire di caldo, di sete, di fame, chiusi in un container nel porto, trasformato nell’unico tetto di cui dispongono. Perché questo è il sogno che occorre offrirgli a tutti i costi. E quando un giovane marocchino viene salvato ormai agonizzante da morte certa nessuno accenna più al fatto che se fosse stato scoperto su un barcone della disperazione e tenuto in un centro di prima accoglienza per essere riportato a casa non avrebbe vissuto un simile, umiliante, terribile incubo italiano.
Eppure la storia di un immigrato clandestino sui 20-25 anni, talmente distrutto e spaventato da non aver neppure rivelato il proprio nome e la propria età ai poliziotti che lo avevano salvato, è una storia terribilmente vera. Una storia venuta a galla grazie alla telefonata di un cittadino rimasto anonimo, che ha sentito gli ultimi rantoli di disperazione dell’immigrato e ha dato l’allarme. Sulla fascia di rispetto di Prà, in uno dei tanti container fermi sotto il sole, era rimasto intrappolato un uomo agonizzante. Non riusciva più a uscire da quella che era diventata la sua casa di fortuna, perché qualcuno aveva fermato il portellone con un lucchetto. La polizia sta cercando di capire se chi lo ha fatto sapesse che all’intero c’era lo straniero che dormiva oppure se avesse soltanto voluto chiudere il container. Insomma, se si tratti di un tentato omicidio in piena regola o di un gesto che avrebbe potuto avere conseguenze tragiche. In ogni caso resta la vicenda del senza tetto costretto a vivere di nascosto nel cassone. Che ha rischiato di morire disidratato e che è stato salvato dai medici dell’ospedale di Sestri Ponente.
Quel marocchino però doveva essere lasciato entrare ad ogni costo, in Italia, per dargli la possibilità di rischiare una fine del genere. Così come i tre giovani stranieri di 21 e 26 anni sorpresi martedì sera verso le 21 all’interno dell’isola ecologica dell’Amiu. I carabinieri li hanno trovati a rovistare tra i rifiuti «speciali» che i genovesi avevano consegnato all’azienda di smaltimento.

Tra vecchi frigoriferi e lavatrici inservibili, reti da materasso e qualche elettrodomestico forse riparabile, o alla ricerca di un vecchio maglione bucato nei cassonetti della Caritas vivevano il loro «sogno» italiano. Quello di essere denunciai per furto aggravato. Di spazzatura.

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