Che effetto fa nascere «da destra» in una famiglia di sinistra? Sognare «righe di lato e calzini con il merletto» mentre i propri «genitori sessantottini che facevano ginnastica in camera loro ogni domenica pomeriggio» avrebbero di gran lunga preferito una piccola ribelle, intenta a sfasciare la mobilia in sfregio alle convenzioni borghesi?
Ve lo spiega la giornalista e regista francese Ingrid Seyman nel suo primo romanzo, La piccola conformista (pagg. 188, euro 15), appena pubblicato in Italia per i tipi di Sellerio. Racconta della bimba Esther Dahan che, sin dalla più tenera età, si ribella ai dettami libertari dei suoi, i quali, del resto, più che mamma e papà preferiscono essere chiamati semplicemente Elizabeth e Patrick (nemmeno nella sfrenata fantasia dei figli del Sessantotto si era già arrivati a genitore 1 e genitore 2).
Quella della piccola, che ormai cresciuta è voce narrante del romanzo, è per certi versi una opposizione naturale, spontanea, e rigorista. Un appello all'ordine che lascia esterrefatti Elizabeth, giovane impiegata pubblica del municipio di Marsiglia che tifa per il proletariato, e il marito, bancario contro voglia, che odia il Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen e considera tutti antisemiti. E così Esther delude, perché vagheggia vestitini blu e disdegna i calzoni a zampa o si addormenta quando, treenne, i genitori la trascinano in discoteca a ballare.
Invece si adatta perfettamente alla scuola privata cattolica Jeanne-d'Arc dove alla fine i genitori la mandano per poter spedire lì anche il fratellino Jérémy che, al contrario, è il figlio antiborghese perfetto: spacca tutto e non impara niente, oltre ad essere il terrore dei compagni. Solo che l'adattamento di Esther al nuovo ambiente passa per il doversi inventare un enorme quantitativo di bugie, volte a far sembrare la propria famiglia accettabile ai compagni.
Nel leggere delle piccole manie libertarie, delle idiosincrasie familiari dei Dahan e dei trucchi della piccola per mantenere il suo spazio interiore di ordine e disciplina si sorride molto. Ma, senza che ve ne accorgiate, all'improvviso il romanzo vira verso la tempesta. Nei modi di fare di papà Patrick non tutto si limita alla nevrastenia che si può mettere in burla, si intravede un disagio profondo. E anche l'odio verso De Gaulle non è solo figlio dell'essere di gauche. Piuttosto nasce dall'essere uno di quei francesi che, quando il Generale ha deciso di rinunciare alla sanguinosa guerra d'Algeria, hanno perso tutto. Alla fine Patrick e i suoi genitori rivorrebbero i bei tempi della colonia. E mamma Elizabeth è davvero libera? O alla fine sotto tutto quel girare nudi e andare a feste folli c'è solo un matrimonio che non funziona? Esther dovrà esplorare il lato oscuro della sua famiglia ma anche del mondo che la circonda perché lo strambo Patrick vede razzisti dappertutto ma qualche razzista nascosto dietro la macchina di lusso e la villetta al mare, che vomita bestialità davanti a una bimba col cognome ebraico lo si trova davvero. Ingrid Seyman accompagna il lettore in un dramma familiare, raccontato con potentissimi ironia e stile, che scardina un sacco di luoghi comuni.
Inquadra un microcosmo che da conto di tutte le idiosincrasie della Francia tra gli anni Settanta e Ottanta, della sofferenza familiare prodotta dall'impatto con una modernità mal digerita. E non è accaduto solo in Francia.
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