Così governa Kim Jong Il, il paranoico con l’atomica

Pazzo per «Rambo» e per le donne, fece rapire un’attrice, ha il terrore di volare e si sposta soltanto in treno

Fausto Biloslavo

Kim Jong Il, il «Caro leader» della Corea del Nord al potere da dodici anni per successione dinastica nel paese più chiuso al mondo in nome di un comunismo stalinista, è un enigma. Forse il dittatore di 65 anni è sia paranoico sia abile despota, come dimostra la sua storia. La carta nucleare potrebbe, però, essere l’ultima per il leader circondato da un esercito potente, ma diviso in fazioni e con il fiato sul collo della Cina infuriata per il test atomico.
Kim Jong Il nasce nel 1941, in Siberia, quando il padre, che diventerà «il Grande leader» della Corea del Nord, serviva come ufficiale dell’Armata rossa contro i giapponesi. Propaganda e culto della personalità impongono al regime di spostare di un anno la sua nascita, nel 1942, alle pendici del monte Paetku, dove iniziò la guerriglia del padre nella Corea del Nord. L’avvento, secondo la storiografia ufficiale, è segnato da un doppio arcobaleno e l’apparizione di un «lucente astro», neanche si trattasse del Gesù Cristo comunista.
Il padre prepara con cura la successione mandando il giovane Jong Il a catechizzarsi in Cina, ma pure a studiare inglese nell’isola di Malta del presidente socialisteggiante Don Mintoff. Il delfino comincia a farsi le ossa nel Partito unico dei lavoratori, ma prima dell’ascesa al potere viene incaricato delle operazioni speciali del regime. Negli anni Ottanta, alcune spie nordcoreane passate all’Occidente lo accusano addirittura di aver ordito l’abbattimento nel 1986 dell’aereo passeggeri della Korean Airlines che provocò 115 morti. Nel 1991, tre anni prima della morte del padre, Kim Jong Il diviene capo delle forze armate e segretario generale del Partito unico. Con oltre un milione di soldati e il 25% delle scarne risorse del suo paese dedicate all’esercito, il potere nordcoreano si basa sulle baionette, ma gli ufficiali non amano il giovane Jong il, perché non era uno dei vecchi guerriglieri comunisti e non ha fatto il militare.
Nel 1994 il Grande leader muore e gli succede il figlio, che con il pieno controllo dell’apparato di sicurezza e del partito accentua lo stalinismo nordcoreano, estremizzando la filosofia «juche», che significa in pratica autarchia. Nonostante il culto della personalità e della segretezza cominciano a trapelare episodi curiosi. Il «Caro leader» è in realtà un appassionato dei film di Hollywood e naviga in Internet. Possiede ventimila pellicole e sembra che vada pazzo per «Rambo». Come il padre ha terrore di volare e si sposta solo su un treno blindato. Un diplomatico russo in viaggio con lui fino a Mosca ha rivelato che ogni giorno gli venivano servite aragoste fresche, giunte in aereo, che mangiava con posate d’argento. Imbarazzato per la statura modesta, solo 160 centimetri, usa scarpe con il tacco rialzato e una strana acconciatura che lo fa sembrare più alto. Il suo giubbotto con la cerniera lampo e gli occhiali anni Settanta sono diventati quasi un cult del satrapo doc. I media nordcoreani lo paragonano per genialità a Leonardo da Vinci, ma tacciono sul suo attaccamento alla bottiglia. Sposato con tre mogli, l’ultima delle quali la sua segretaria, ha un passato da playboy e una volta ha fatto addirittura rapire una famosa attrice sudcoreana.
Nonostante le amenità, Kim Jong Il è riuscito a sopravvivere a pericolose faide interne al regime. Fino allo scorso anno il candidato alla successione era il cognato, Chang Song Thaek, numero due del partito improvvisamente rimosso. L’ambizioso parente aveva tentato di coalizzare la fazione militare scontenta del «caro leader». Fra i figli legittimi e non della dinastia si sta svolgendo una sorda lotta di potere e uno dei possibili delfini, Kim Jong Nam, è scampato a un attentato in Austria. Lo scorso anno anche il dittatore si sarebbe salvato da un’esplosione lungo la linea ferroviaria che avrebbe dovuto percorrere, fatta poi passare per banale incidente. La reazione di Kim Jong Il non si è fatta attendere: il 40% dei funzionari di partito è stato purgato.
La decisone di far esplodere la prima bomba nucleare, alla vigilia del sessantunesimo anniversario del partito unico, può far parte di una strategia di allentamento della tensione interna che accontenti i militari e concentri l’attenzione verso le «minacce» esterne. Questa volta, però, il rilancio di Kom Jong il può costargli la partita, perché il padrino cinese ne ha abbastanza del «discolo» dittatore. Pechino fornisce corrente elettrica alla Corea del Nord, combustibile e generi di prima necessità.

Non può chiudere i rubinetti perché l’implosione del regime provocherebbe un’ondata di profughi verso il suo territorio. I servizi cinesi, però, sono ben infiltrati nei ranghi militari e gli americani non vedono l’ora che un golpe di palazzo spazzi via il «Caro leader».

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