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«Così ho visto strangolare la mia povera Elena»

Intervista al turista aggredito in Venezuela: «È stato un incubo, pensavo che mia moglie fosse viva. Ora voglio verità e giustizia»

Simone Innocenti

«È come se avessi vissuto un incubo: ricordo che qualcuno si è avvicinato al mio orecchio sinistro e in spagnolo mi ha sussurrato qualcosa. Qualcosa tipo “Calma” o “Silenzio”. Poi, credo qualche ora dopo, mi sono svegliato. Ero a terra con le mani e i piedi legati. Mi avevano “incaprettato” con dei fili elettrici. Mia moglie Elena era accanto a me. Ho cercato di scuoterla, di spingerla per farmi aiutare, ma lei non mi rispondeva...». Parla dal suo letto d’ospedale Riccardo Prescendi, il fiorentino di 46 anni aggredito nella notte tra martedì e mercoledì scorsi a Los Roques, in una camera della Posada Lagunita. Hotel venezuelano dove ha perso invece la vita la moglie Elena Vecoli, che secondo i giornali venezuelani era incinta. L’uomo si trova ancora all’ospedale di Caracas, stanza numero 805, ottavo piano. «Sto malissimo, sotto tutti i punti di vista - dice adesso Prescendi -. Tutto è accaduto mentre io ed Elena eravamo a letto. Ricordo nitidamente che non respiravo più. Forse siamo stati narcotizzati, non lo so: arrivato in ospedale mi hanno fatto le analisi del sangue, ma non conosco i risultati».
Torniamo a quella notte. Subito dopo che cosa è accaduto?
«Sono riuscito a liberarmi prima i piedi e poi le mani dai fili elettrici con le forbici che avevo in bagno. Poi ho cominciato a bussare a tutte le camere, chiedendo aiuto».
Si è accorto che sua moglie Elena era stata uccisa?
«No. Quando mi sono liberato, ho girato mia moglie dall’altra parte: era ancora calda, pensavo fosse svenuta. Io sono stato portato all’ospedale: mi avevano picchiato selvaggiamente. Là qualcuno mi ha detto che Elena, la mia Elena, era stata ammazzata...».
Lei e sua moglie Elena eravate mai stati minacciati?
«Mai... L’unico intoppo è stato all’arrivo: sull’isola siamo sbarcati lo scorso 16 settembre. Alla Posada c’è stato un overbooking: le stanze prenotate non erano sufficienti. Ci hanno così indirizzato in quella stanza, che poi ho saputo essere la stanza abitualmente usata da Andrea Piccinni, il titolare dell’hotel».
Piccinni è un fiorentino, lei anche. Vi conoscevate?
«Non lo conoscevo e non lo conosco. Da quanto mi hanno detto anche alcuni poliziotti di Caracas, credo che il vero obiettivo fosse proprio lui».
Lei è a conoscenza che la polizia di Caracas ha fermato tre sospetti?
«Me lo sta dicendo lei... È una buona notizia. Voglio la verità e chiedo giustizia. E sia chiaro anche che non perdono e non perdonerò mai ciò che hanno fatto a mia moglie».
Dove vi eravate conosciuti?
«Lavoravamo entrambi alla Calvin Klein. Ci conoscevamo da sette anni: l’amore è nato subito. Il matrimonio, per me, è stato il più bel giorno della mia vita... Elena era mia moglie e chi mi conosce sa cosa voglio dire...».
Le autorità italiane la stanno aiutando?
«Sì, almeno per quello di cui abbiamo bisogno. Ieri (giovedì scorso, ndr) le autorità sono state con me e con la mia famiglia tutto il giorno. Qua all’ospedale c’è mia madre Gianna con il suo compagno Angelo. Stanno cercando di aiutarmi, mi sono vicini».
Quando pensa di rientrare in Italia?
«Credo di rientrare in Italia domani (oggi per chi legge, ndr), ma sinceramente non so se invece tornerò nei prossimi giorni. Qua è un problema...

Ho anche orari diversi dei voli, rispetto - ad esempio - a quelli che prenderà mia madre Gianna».

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