Così i «pacifisti» hanno sequestrato gli israeliani

Se credete ancora alla strage premeditata, se pensate che le forze speciali israeliane abbiano deliberatamente ucciso nove autentici «pacifisti» guardatevi queste foto. Sono una prova devastante, capace di fare a pezzi l’immagine degli incursori Flotilla 13, ma anche determinante per assolverli da ogni sospetto di ferocia gratuita. Fosse stato per la censura israeliana le foto, pubblicate ieri dal quotidiano turco Hürriyet non sarebbero mai saltate fuori. I censori israeliani le avevano cancellate da macchine fotografiche, computer e chiavette elettroniche dei militanti turchi prima di espellerli. Non appena rientrati in Turchia i duri e puri dell’organizzazione fondamentalista Ihh le hanno recuperate e messe a disposizione del più diffuso quotidiano. Per loro scagionare i militari israeliani è ininfluente. Nella logica jihadista dimostrarsi capaci di contrapporsi ai più temuti reparti speciali israeliani significa garantire all’Ihh il rispetto dell’internazionale integralista, promuoverla ad un livello analogo a quello di Hamas e Hezbollah. In quell’ottica distruggere il mito dell’invincibilità d’Israele è persino più importante che continuare a nascondersi dietro le ragioni dell’asserita causa pacifista.
Israele fin qui si era ritrovata paradossalmente costretta a stare al gioco. Per lo Stato ebraico coprire l’inefficienza di un’intelligence incapace di prevedere la minaccia dei finti pacifisti in attesa sulla nave Marmara e preservare l’immagine delle proprie forze speciali è più vitale - sul piano della deterrenza strategica - che dimostrare la buona fede dei propri militari. Anche perché i filmati della battaglia svoltasi sulla tolda erano più che sufficienti, dal punto di vista israeliano, a giustificare le reazioni degli incursori. Queste nuove foto, avvilenti per l’immagine dei commandos di Flotilla 13, sono però la pistola fumante capace di scagionarli da ogni sospetto. Guardatele. Le più esplicite sono quella di un militare con la tempia insanguinata spinto lungo una scala e di un suo collega trascinato a testa in già sui gradini. Le due immagini ci fanno capire che i due incursori dopo esser stati colpiti, feriti e sopraffatti sono ora prigionieri dei militanti di Ihh ormai pronti a rinchiuderli nelle cabine del ponte sottostante. In quei drammatici minuti Israele rischia di ritrovarsi con due nuovi Gilad Shalit, con altri due soldati ostaggi di un gruppo integralista. Le due foto ci fanno anche capire quanti interminabili minuti siano trascorsi da quando i due militari ora prigionieri sono atterrati sul ponte. Prima di tramortirli, sopraffarli e trascinarli dabbasso gli assalitori hanno avuto il tempo di spogliarli di tutta l’attrezzatura, sfilargli passamontagna e gilet milletasche, impadronirsi delle loro pistole Glock d’ordinanza. Probabilmente lo sganciamento di una fune ha interrotto la discesa dall’elicottero e i primi tre si sono trovati in balia della calca armata di spranghe e salvagenti. La missione di Flotilla 13 viene così completamente sconvolta. La seconda fase dell’assalto non punta più alla semplice presa di controllo della nave, ma si trasforma in una vera e propria operazione d’emergenza per sventare il rapimento dei propri compagni.

Una situazione considerata la peggiore delle minacce nelle nuove regole d’ingaggio israeliane. Una situazione in cui è lecito anche sparare sui propri compagni pur di evitare che vengano catturati vivi. Difficile pretendere dunque che si facessero scrupoli a sparare sui rapitori.

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