Così il pianeta Terra muore di sobrietà

Così il pianeta Terra muore di sobrietà

Immaginate che una spaventosa guerra mondiale abbia portato alla distruzione della civiltà e minacciato l’estinzione dell’uomo. Immaginate che la nuova società, nata sulle macerie del passato, sia fondata sulla Redenzione Morale, cioè su un codice di comportamento severo, puritano, sobrio. Immaginate che la ricchezza, l’abbondanza e lo spreco siano diventati disvalori da condannare. Immaginate che la povertà, la parsimonia e la moderazione siano valori assoluti da perseguire. Immaginate anche che la morigeratezza sia estesa a ogni sfera della vita, da quella alimentare (è volgare mangiare bene) a quella sessuale (è volgare fare troppo all’amore).
Ora provate a immaginare dove conduce un mondo fatto in questo modo. A un futuro roseo? Philip K. Dick ha immaginato tutto quanto e ha dato una risposta netta in Redenzione immorale, un romanzo del 1963, minore ma pieno di idee, riportato in libreria dall’editore Fanucci (pagg. 198, euro 17, traduzione di Tommaso Pincio; esiste anche una edizione Mondadori del 1998).
Un romanzo minore, si diceva. Minore per Dick, molti altri scrittori di fantascienza, con le idee di Redenzione immorale avrebbero vergato tre o quattro libri. L’autore di innumerevoli classici, da Ubik a L’uomo nell’alto castello passando per una tonnellata di racconti poi saccheggiati da Hollywood, non era un tipo da star lì a calibrare le forze col bilancino. Era un generoso e in ogni libro infondeva tutto se stesso: talvolta rovinando le proprie opere per troppa irruenza. Redenzione immorale è proprio così, un insieme di spunti strepitosi che non riescono a diventare un romanzo strepitoso. Ma non importa. Il peggior Dick (e questo non è il peggiore) è sempre meglio di quasi tutto il resto.
E ora rispondiamo alla domanda iniziale: a cosa conduce, nel lungo periodo, un mondo fondato sulla Redenzione Morale? A un bel totalitarismo in cui l’individuo e l’indipendenza di pensiero valgono quanto una cicca di sigaretta calpestata. Naturalmente, perché il totalitarismo sia ben fatto, è necessario che lo Stato sia padrone di tutto e si occupi di tutto. I dissidenti sono ridotti a schiavi, indispensabili per l’economia. Gli altri vivono in orrendi loculi che ricordano gli alveari. Giusto così, in fondo sono come le api operaie, semplici funzioni al servizio della Regina, sua maestà l’apparato statale. Apparato che riesce a infilarsi dappertutto, anche sotto le lenzuola. Per sorvegliare l’etica dei cittadini si serve del più potente dei mezzi, la tv Telemedia. Ovviamente pubblica.
Cedo la parola all’autore: «Ogni cosa viene infangata. La paura della contaminazione; il timore di macchiarsi di un atto indecente. Il sesso è morboso; la gente è braccata per atti naturali. Questo sistema è come un’immane camera di tortura dove le persone si scrutano a vicenda cercando di cogliersi in fallo, cercando di eliminarsi l’un l’altro. Cacce alle streghe e camere stellate». La Camera stellata era uno strumento legislativo creato nel 1487 dal re d’Inghilterra Enrico VII. Consentiva di reprimere l’opposizione politica in quanto atto di lesa maestà. L’autore picchia duro su moralisti e pauperisti della domenica, letteralmente massacrati e ridicolizzati in ogni pagina. Sempre impegnati a ficcare il naso nelle faccende altrui e a organizzare processi pubblici, a metà strada fra il tribunale e l’assemblea di condominio, per rieducare chi ha detto una parolaccia o bevuto un paio di bicchieri di vino o avuto un’avventura extraconiugale.
Tra parentesi, è chiaro come il sole che Dick sta descrivendo l’Unione Sovietica e il Gulag. Nonostante ciò, dalle nostre parti passa per un comunistoide. Pazzesco.

Ma quello politico è un aspetto marginale del romanzo, in cui proprio il massimo dirigente di Telemedia attraverso la satira riesce a mettere in ginocchio il regime, almeno per un po’, nel tentativo di restaurare un mondo migliore: l’Età dello Spreco, cioè la nostra. O ci siamo già incamminati verso la Redenzione Morale?

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