Un crac lungo più di 10 anni

da Milano

Le origini della crisi di Alitalia sono lontane, e risalgono al 1995, anno della completa liberalizzazione del trasporto aereo in Europa. La compagnia, fino a quel momento «di bandiera» (e cioè monopolista), non riuscì a liberarsi della patina statalista. Non ci furono riorganizzazioni tese all’efficienza e all’economicità dei conti, che continuarono a peggiorare. Non si capì che per resistere alle sfide del mercato la compagnia avrebbe dovuto fare «massa critica» assorbendo vettori minori o stringendo accordi commerciali. Strategia seguita invece da Air France e Lufthansa, che nei rispettivi Paesi hanno quote di mercato quasi doppie rispetto a quella di Alitalia in Italia. Malpensa, che doveva essere una grande opportunità di sviluppo, è stata fonte di costi esponenziali. Gli attentati del 2001 e il caro-petrolio furono gestiti in maniera colpevole: ai primi si reagì riducendo voli e flotta; contro i rincari la compagnia non seppe proteggersi, a differenza dei concorrenti. In queste condizioni non è stato possibile arginare l’aggressività delle compagnie low cost, favorite dall’assenza di un piano di classificazione aeroportuale promesso invano da vari governi.
Gli aumenti di capitale
In questa situazione di inarrestabile voragine di perdite, si è fatto più volte ricorso ad aumenti di capitale. Gli ultimi risalgono al 1998 (3mila miliardi di lire), al 2002 (1,43 miliardi di euro), al 2005 (1 miliardo). Ora se ne profila un altro. Che cosa si è fatto di questo denaro? Si sono ripianate le perdite per non far fallire la compagnia. Gli ultimi due, in particolare, dovevano servire al potenziamento della flotta, ma oggi Alitalia non possiede nemmeno un’opzione per nuovi aerei.
Lo scenario
Secondo i dati dell’associazione internazionale delle compagnie aeree, la Iata, le perdite complessive 2006 del sistema del trasporto aereo mondiale sono pari alle perdite del bilancio Alitalia, e Alitalia è la compagnia commerciale con più perdite al mondo. Tutti i concorrenti hanno saputo risalire la china della crisi successiva al 2001 investendo su nuove rotte e nuovi aerei e adottando tecniche commerciali aggressive.
Dipendenti e sindacati
I dipendenti di un’azienda sono proporzionati all’attività svolta. Nel 2001 fu ridotta l’offerta delle compagnia, ma nessun taglio fu effettuato sul personale. Non essendo l’Alitalia un’azienda giovane (ha 60 anni), il personale è mediamente più anziano che in un’azienda più recente (per esempio, Ryanair) e costa proporzionalmente di più. Il potere del sindacato all’interno dell’Alitalia è stato determinante e distruttivo, con un uso sempre indiscriminato di scioperi e forme surrettizie di protesta (molti ricorderanno il blocco dell’attività per più giorni, nel 2005, dovuto a un’improvvisa valanga di certificati medici). Gli esperti sostengono che un’azienda di servizi complessa e costosa come una compagnia aerea, qualsiasi essa sia, può essere messa in ginocchio da poche settimane di blocco. Ciò aumenta il potere ricattatorio del sindacato.
Il mercato degli aerei
La liberalizzazione dei voli in Europa ha drasticamente ridotto i margini dei voli nazionali e internazionali; quelli più redditizi sono i voli intercontinentali che, svolti tuttora in un regime di sostanziale oligopolio, praticano tariffe proporzionalmente più elevate. Alitalia non ha saputo sviluppare questo traffico che oggi, anzi, andrà a ridurre. La sua flotta è stata insufficiente in questi anni ad alimentare due hub (Milano e Roma) e a valorizzare molte destinazioni estere. Né è stato previsto in tempo uno sviluppo della flotta: oggi le ordinazioni nel portafoglio dei due produttori mondiali di aerei, Boeing ed Airbus, coprono i prossimi cinque anni. Ne consegue che Alitalia non potrà dotarsi di nuovi aerei, se non reperendoli sul mercato usati o acquistando opzioni altrui, a prezzi che risentono della carenza di offerta: e cioè carissimi.
Il socio Air France
La partnership commerciale con Air France risale al 2001. Quell’anno Alitalia entrò nell’alleanza SkyTeam (fondata dalla compagnia francese) che permetteva di allargare la rete di collegamenti offerti. E sottoscrisse con Parigi accordi commerciali che prevedevano, tra l’altro, collegamenti tra Italia e Francia svolti in comune. I patti furono suggellati con uno scambio azionario del 2%, quote tuttora detenute dalle due compagnie. Il presidente di Alitalia e quello di Air France sedevano nei rispettivi consigli: nei giorni scorsi un azionista di Alitalia, che ha manifestato interesse per la compagnia, Paolo Alazraki, ha presentato un’azione di responsabilità nei confronti di entrambi. Gli accordi allora sottoscritti prevedevano, «alla fine di un percorso» (come disse allora l’ad Mengozzi), l’integrazione tra Alitalia ed Air France. Rompere questi patti avrebbe comportato una penale tra i 70 e i 200 milioni di euro.
Quanto vale Alitalia
Trattandosi di una società quotata in Borsa, la sua capitalizzazione è un dato oggettivo: venerdì, 1.161 milioni di euro. Una cifra, tuttavia, del tutto irrealistica considerando che la società, a fronte di 4.373 milioni di ricavi ne perde 626.

Tutti i fondamentali sono fuori controllo; tuttavia Alitalia mantiene un valore in termini di marchio, avviamento e rete di collegamenti. E possiede asset inespressi, quali gli slot all’aeroporto di Londra Heathrow, che da soli valgono una cifra prossima al miliardo di euro.

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