Crac Parmalat, niente sconti: 18 anni a Tanzi

Quante possibilità ci sono che Calisto Tanzi, ex Cavaliere del lavoro, finisca davvero in carcere a espiare le sue colpe? É questa la domanda che si fanno le decine di migliaia di vittime del crac Parmalat: soprattutto dalle 17,15 di ieri pomeriggio, quando i giudici del tribunale di Parma leggono la sentenza che infligge a Tanzi diciotto anni di carcere per bancarotta fraudolenta. É una condanna che si va ad aggiungere ai dieci anni che nel maggio scorso la Corte d’appello di Milano ha rifilato a Tanzi per aggiotaggio, ovvero per le bugie raccontate alla Borsa e al pubblico. La somma algebrica farebbe ventotto anni, un totale assai pesante. Il problema è che Tanzi ha 72 anni, e quindi può usufruire della legge che consente agli ultrasettantenni gli arresti domiciliari. Niente cella, insomma, ma un comodo soggiorno nella tenuta di Fontanini di Vigatto, formalmente intestata alla moglie.
Lo stesso procuratore della Repubblica di Parma, Gerardo La Guardia, che pure si dice «assai soddisfatto» per la condanna (la procura aveva chiesto vent’anni), alla domanda secca «Tanzi finirà in carcere?» ieri sera risponde senza giri di parole: «È difficile». Perché è vero che ci sono reati per i quali la legge consente di tenere in carcere anche un vecchietto: e sono non solo quelli di mafia, ma anche altri tra cui la violenza sessuale e la rapina. «La bancarotta non è tra questi», ricorda La Guardia.
Ma in realtà non è detta l’ultima parola. Perché sospesa sulla testa di Calisto Tanzi c’è la sentenza del tribunale del Riesame di Milano che il 12 ottobre scorso, su richiesta della Procura generale, ordinò il suo arresto in seguito alla condanna in appello per aggiotaggio. Pericolo di fuga e pericolo di reiterazione del reato, diceva il tribunale, rendono inevitabile il carcere. Contro quella sentenza i difensori di Tanzi hanno fatto ricorso in Cassazione. Solo l’esito di quel ricorso separa ora Tanzi dal rientro in cella. E la condanna di ieri rischia di aggravare la situazione, perché proprio la pesantezza della sua situazione processuale costituiva uno dei motivi per temere che si desse alla fuga, e giustificava quindi il suo arresto. Ora, che ai dieci anni della condanna per aggiotaggio si aggiungono i diciotto di quella per bancarotta, la Cassazione potrebbe avere qualche motivo in più per impedire che il bancarottiere di Collecchio tagli la corda.
Nell’attesa di capire la sorte di Tanzi, si fanno i conti delle altre decisioni contenute nella sentenza di ieri, arrivata a quasi sette anni di distanza dal disastroso fallimento di Parmalat. Condanne pesanti anche per il management dell’azienda: dieci anni a Giovanni Tanzi, fratello di Calisto, otto anni a Domenico Barili, sei a Luciano Silingardi: ma anche questi sono signori in là con gli anni, e possono sperare di usufruire dello stesso «ombrello» di Tanzi. Paradossalmente, l’unico a finire davvero in carcere potrebbe essere Fausto Tonna, ex direttore finanziario, che ebbe all’epoca gravi colpe ma che è stato poi l’unico a collaborare fattivamente alle indagini, e che ciò nonostante ieri si vede rifilare una pena di quattordici anni.
Ci sono i risarcimenti: due miliardi, una cifra rilevante, ma che rischia anch’essa di restare simbolica, visto che Tanzi risulta ufficialmente nullatenente.

Così le speranze delle vittime di rivedere davvero qualcosa sono affidate soprattutto ai processi-stralcio alle banche accusate di essere coinvolte nell’aggiotaggio e nella bancarotta: a Milano il processo è già in corso, a Parma si aprirà nei prossimi mesi quello contro Deutsche Bank e Morgan Stanley, poi toccherà a Citibank e Bank of America.

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