Crisi alle spalle, l’economia sta ripartendo

Guardando gli indici degli ordinativi delle industrie manifatturiere a dicembre si può affermare che la recessione mondiale è finita e c’è la ripresa. Non si tratta di previsioni, ma di dati concreti, cioè i contratti di vendita. Questo indice a novembre ha raggiunto dovunque nei Paesi industriali (salvo la Spagna), almeno il livello 50 che indica quello massimo prima della crisi. In dicembre ovunque (salvo in Spagna) ha superato il livello 50. Ciò al di fuori dell’Europa è vero per Cina e Usa che sono al livello 56, per il Brasile e l’India a 55,8-55,6, per il Giappone che è a 53,8 e la Corea del Sud a un punto in meno. Ma è vero anche in Europa, nell’area non euro ove il Regno Unito è a 54,1. Ed è vero nella nostra area, l’Eurozona che è a 51,6, la più virtuosa perché ha usato un minimo di spesa in deficit per contrastare la recessione. La Francia è a 54,7, la Germania a 53,7 e l’Italia a 51. Fa eccezione la Spagna, a 45,2. Fuori Ue, in Russia ove la recessione sta finendo, il livello nell’ultimo bimestre è 49.
Dobbiamo stappare una bottiglia di spumante e dire che con l’Epifania la recessione è andata via? Purtroppo fuori dall’Eurozona, ove in apparenza le cose vanno meglio perché il livello degli ordini è mediamente a quota 55, esse vanno peggio in quanto l’industria manifatturiera è drogata da una domanda sostenuta dall’enorme deficit pubblico. In Cina il deficit supera il 10 per cento del Pil, ma essa lo può sostenere e dovrà prolungarlo perché ha un’enorme massa di riserve valutarie non spese e un immenso bisogno di infrastrutture.
Gli Stati Uniti che sono, con la Cina, in testa alla graduatoria degli ordinativi rappresentano il vero anello debole. Il deficit federale ha raggiunto l’11 per cento e si manterrà su questo livello anche nel prossimo anno. Eppure la disoccupazione è al 10 per cento e non sembra diminuire. E l’epoca normale su cui si misura l’attuale livello di 56 degli ordinativi statunitensi, drogato dalla spesa del governo in deficit (a cui si aggiunge l’aiuto della Federal Reserve che ha un tasso di interesse di quasi zero e compra anche obbligazioni di imprese ed enti paragovernativi), è quello dell’aprile del 2006, tre anni e otto mesi fa. È come un ciclista che è davanti agli altri, perché dopato. Con una differenza in peggio. Infatti il ciclista, se non viene squalificato, potrebbe continuare a correre, fino a quando pensa di riuscire a vincere. Poi può appendere la bicicletta al chiodo. E la droga che gli serve, sin che vince, la può comperare in contanti. Invece le economie degli Stati debbono continuare a produrre, mentre la droga del governo la ricevono gratis. E questo si indebita per somministrarla.
Secondo Paul Krugman, premio Nobel dell’economia superkeynesiano, gli Usa devono fare ancora grandi deficit perché non ne hanno fatti abbastanza, diversamente l’economia Usa si riaffloscia. È un ragionamento in parte vero, però simile a quello che riguarda i drogati, che hanno bisogno di altre dosi per non andare in tilt. Ma la questione è se sia stata una buona idea quella di fare tanti deficit per ottenere questo risultato precario dopo tre anni e otto mesi. Probabilmente si è trattato di un errore colossale e gli Usa non potranno smettere la droga del deficit del 10 per cento o sopra nel 2010. E forse nel 2011 dovranno ancora continuare con deficit fuori norma, sebbene ridotti. Per loro fortuna, gli Stati Uniti vantano colossali risorse naturali, un enorme progresso tecnologico in atto e in fieri nonché grandi multinazionali.
Se guardiamo più vicino a noi, troviamo un quadro più solido. Nell’Eurozona con pochissimo aumento del deficit c’è la ripresa. La Germania nel 2009 ha un deficit del 3 per cento, cioè entro i parametri di Maastricht ed esce dalla recessione. L’Italia è un po’ dietro la Germania, ma è anch’essa virtuosa, in quanto esce dalla recessione con un deficit del 4,5%. La Francia con un deficit del 7 per cento guida la crescita dell’Eurozona. E da noi, in Italia, la recessione è durata 15 mesi, in Germania 21 e in Francia appena un po’ di più. Il nostro problema è che le economie dell’Eurozona non dipendono solo dal fatto che riescono a riprendersi senza drogarsi; esse dipendono anche dalle esportazioni fuori Eurozona e verso il resto del mondo. E per una quota non disprezzabile verso gli Usa e la comunità europea non euro.
L’Italia, in ciò, sta meglio che la Francia e la Germania perché ha un export più diversificato (gli Usa pesano solo per il 7% sul nostro export), ma è interdipendente con il resto dell’Eurozona.
C’è, però, una nota di ottimismo da spendere.

Grazie all’espansione artificiale della domanda degli Stati Uniti nell’ultimo decennio, ora Brasile, Cina, India e in genere l’Asia hanno una crescita sempre più auto-alimentata. E ciò sorreggerà comunque la domanda mondiale.

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