«La crisi non è finita, ma ora bisogna agire»

«La crisi non è finita, ma ora bisogna agire»

nostro inviato a Washington
Maggiore sorveglianza sui mercati finanziari da parte dei regolatori, maggiore sorveglianza sui cambi da parte del Fondo monetario. All'ombra di una crisi che non accenna a risolversi, gli incontri primaverili del Fmi segnano il ritorno in campo delle autorità di vigilanza dopo anni di prevalenza assoluta delle forze di mercato. «La crisi non è ancora finita - dice Mario Draghi, presentando il documento del Financial Stability Forum - e le nostre raccomandazioni non sono in grado di evitare, nell'immediato, nuovi scossoni; perciò bisogna agire». La situazione richiede azione da parte dei controllori, dei supervisori, dei governi. «Se le raccomandazioni verranno attuate - aggiunge il governatore di Bankitalia - il sistema diverrà più robusto, e maggiormente in grado di far fronte alle crisi che, di sicuro, arriveranno».
Ma di questa crisi si vede la conclusione? Per Draghi è impossibile dirlo. Gli stessi ministri finanziari del G7, nel loro comunicato, ammettono che le turbolenze sui mercati «durano più di quanto avevamo previsto». Non sorprende quindi, in questo nuovo quadro, l'apprezzamento per le ricette del Financial Stability Forum, che dovrebbero essere implementate nei prossimi cento giorni. «Faremo di tutto per rispettare il termine», dice Draghi. Né sorprende la richiesta del segretario al Tesoro americano Henry Paulson di un Fondo monetario più concentrato nella sorveglianza sui cambi. Fa paura la crisi finanziaria, fa paura l'estrema debolezza del dollaro. Rispetto all'autunno scorso, il clima si è fatto «più cupo», nota Tommaso Padoa-Schioppa anche se, fortunatamente per l'Italia, il nostro sistema finanziario è «assai poco colpito» dalle turbolenze.
Il G7 conferma la determinazione a un lavoro comune per ristabilire la crescita economica, mantenere la stabilità dei prezzi, assicurare il funzionamento regolare del sistema finanziario. In questi difficili impegni si inserisce il documento predisposto da Draghi. «Il rapporto non chiede cambiamenti radicali, o provocatori. Cerca di migliorare il sistema, rafforzando la sorveglianza, per conservare i benefici dell'innovazione finanziaria, riducendo i rischi. Molti pensavano che l'innovazione finanziaria avrebbe accresciuto la resistenza del sistema, spalmando i rischi in un'area più vasta. All'opposto, i rischi si sono concentrati nelle banche, il settore più regolato dell'intero sistema finanziario». Secondo il nostro banchiere centrale, «la crisi subprime in sé non è grandissima, ma ha avuto profonde conseguenze». Il motivo? La risposta di Draghi è che «il livello del leverage era eccessivo, e non ben percepito».
Ma oltre alla crisi finanziaria, anche il disordine sui mercati dei cambi sta raggiungendo il livello di guardia. Lo confermano le parole del G7, la richiesta del segretario Paulson al Fmi di una «diligente sorveglianza» sui movimenti delle monete, ma anche il disappunto di Joaquin Almunia. Il commissario europeo all'Economia osserva infatti che «il tasso di cambio effettivo dell'euro non riflette più i fondamentali». È la prima volta che il linguaggio ufficiale sui cambi viene modificato rispetto alla versione elaborata a Boca Raton nel 2004.

Se poi questo sarà sufficiente a far modificare la rotta dei mercati, o semplicemente a rallentare il ribasso del dollaro, si vedrà alla riapertura dei mercati. Gli operatori appaiono scettici. E la Bce, come ha confermato Jean-Claude Trichet, non ha intenzione di ridurre i tassi europei.

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