La crisi secondo Ruggeri «Ora siamo più liberi»

La crisi secondo Ruggeri «Ora siamo più liberi»

Evvai, così si fa. Enrico Ruggeri ha ricantato i suoi classici (ma non solo quelli) con la meglio gioventù della canzone d’autore. Da Bugo a Marta sui Tubi. Da Dente a Diego Mancino fino ai cattivissimi Linea 77. «Ciascuno ha scelto il brano che voleva, mica glieli ho imposti», spiega subito lui, sorridendo. Il disco si intitola Le canzoni ai testimoni e sembra un semplice divertissement ma non lo è neanche un po’. È un esempio, invece: di umiltà, innanzitutto perché quanti sono i grandi cantautori disposti a mettersi in gioco come fa lui ora? Pochini, s’è già visto: le loro maestà stanno lassù e buonanotte ai suonatori (esordienti o indie fa lo stesso). E poi questi quattordici brani sono anche la bussola per orientarsi tra la musica che gira intorno, dai Fluon di Andy (ex Bluvertigo) agli elettronici retrò Serpenti e ai Rezophonic di Mario Riso, tutti voraci di novità e non di compromessi, evviva.
«Dici che in scaletta non ci sono band hip hop? Vero. Ma i rapper sono principalmente autori, non interpreti. E quindi qui c’entrano poco». Curioso scherzo del destino: ora i rapper vanno forte, De Gregori (uno del ramo)li ha definiti pure «i nuovi cantautori». E la loro seconda generazione ha fatto un altro passo avanti: «Sono d’accordo: chi ha il coraggio di dire che Caparezza e J Ax non siano cantautori? Ma mi piacciono quelli che non si insultano tra loro e non cantano tragedie economiche nonostante siano figli della buona borghesia milanese». Oddio, qui si allude a Mondo Marcio? «Non faccio nomi, però». In ogni caso Ruggeri ha attraversato tutta la musica degli ultimi quarant’anni a modo suo. Fuori dalle parti. «I cantautori degli anni ’70 erano noiosi musicalmente. Troppo vincolati alla politica. E non troppo bravi a far spettacolo: suonavano seduti su di una seggiola e, se si alzavano, li accusavano di non essere duri e puri». Di certo oggi c’è più libertà e anche Ruggeri, se vogliamo dirla tutta, a questo giro se ne concede un bel po’, diventando il direttore d’orchestra del suo repertorio: «Ma l’idea mica è mia: è di Sara Potente della Universal e io ho detto sì. In fondo, più aumenta la crisi discografica e più aumenta la libertà. Una volta le strategie potevano cambiare la sorte di un disco, spostarlo da un mercato di mezzo milione di copie vendute ad appena diecimila. Dal trionfo alla tragedia. Ora ne vendi diecimila, se va bene. E poi questo è il mio trentesimo disco: da solo ne ho incisi più di Vasco e Ligabue messi insieme: potrò concedermi un po’ di libertà?». Lo ha fatto «convocando» artisti senza compromessi capaci però di tenere centinaia di concerti all’anno con pubblico pagante. Boosta, uno dei dei Subsonica (Mare d’inverno). L’Aura, la tanto promettente L’Aura (Quello che le donne non dicono). E Bugo: «Deliziosa la sua vena surreale. Si è andato a cercare un pezzo dei Decibel del 1978, Lavaggio del cervello, nel quale cantavo che la tv sarebbe stata il dittatore del futuro».
Tutti insieme confermano che Enrico Ruggeri è punk, rock, new wave e cantautore allo stesso tempo: «La meraviglia è che ogni brano sembra proprio di chi lo suona: vuol dire che sono eclettico. D’altronde anni fa si poteva spaziare. Adesso devi fare benissimo solo una cosa, altrimenti te ne vai a casa». Nessuna pietà: ora i cantanti sono one shot. Se imbroccano il primo singolo, bene. Altrimenti addio. «Una volta ci concedevano anche quattro album per riuscire a centrare l’obiettivo. Oggi no. E finché non si metterà un rimedio al download illegale, da questo imbuto non si esce». Già, ma come? «Sento gente che accusa i talent show. Strillano: viva i Lacuna Coil e abbasso Marco Mengoni. Poi però si collegano a un sito pirata e scaricano tutta la musica illegalmente. Così non va». E i colpevoli, si sa, sono soprattutto i giovanissimi «smanettoni».

A proposito: suo figlio Pico, che ha appena registrato un disco tosto ispirato a Jodorowsky? «Quando ha compiuto 18 anni, invece della macchina mi ha chiesto di concedergli il mio studio di registrazione: e io mi sono sentito orgoglioso, dai, è inutile negarlo». Per forza.

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