Critica il velo, docente alla sbarra in Turchia

Lei contrattacca: «Nessuno potrà farmi desistere dai miei principi»

Marta Ottaviani

A 92 anni forse pensava di godersi i suoi nipoti, la sua pensione e il successo delle sue pubblicazioni. Invece Muazzez Ilmiye Cig, accademica turca di fama internazionale, il prossimo primo novembre finirà sotto processo per un libro pubblicato lo scorso anno. L’accusa è di aver offeso la religione musulmana, per aver dato un’interpretazione distorta dell’origine dell’utilizzo del velo islamico in Medio Oriente. Il documento incriminato non è il solito romanzo. Si tratta di un testo scientifico. Con la Cig sarà giudicato anche il suo editore.
Muazzez, ex docente conosciuta in tutto il mondo per le sue ricerche, è un’esperta del popolo dei Sumeri, civiltà mesopotamica che si sviluppò nel 5.000 avanti Cristo. In oltre sessant’anni di attività ha tradotto migliaia di tavolette e redatto numerosi testi. Nel suo ultimo lavoro, descrivendo le usanze di questa popolazione, ha scritto che in Medio Oriente il velo era puramente un segno di distinzione e non un’imposizione religiosa. Per dimostrare questa teoria, la Cig ha spiegato che le sacerdotesse nel periodo sumerico si mettevano il velo solo per sottolineare uno status sociale diverso da quello delle altre donne. Anzi, sostiene l’anziana accademica, queste donne, seppur velate, spesso erano anche delle iniziatrici dei giovani ai piaceri della carne. Solo molti secoli dopo, secondo la studiosa, il velo è stato utilizzato come strumento repressivo, per nascondere la femminilità. L’autrice ha poi concluso che oggi, nella maggior parte dei Paesi musulmani, è un simbolo di divisione del sesso femminile.
Un saggio di antropologia dal valore scientifico innegabile. Ma le frange più integraliste in Turchia non si fermano neanche davanti a questo. E così un gruppo di legali dei nazionalisti islamici a Izmir, città sul Mar Mediterraneo e considerata uno dei luoghi più occidentalizzati del Paese, ha fatto mettere sotto accusa l’anziana signora. Alla faccia della sua età e del suo curriculum di docente universitario e dirigente del Museo Archeologico di Istanbul.
Ma chi ha avuto il coraggio di incriminare una donna di 92 anni non aveva fatto i conti con un altro aspetto: il carattere della studiosa. Originaria di Bursa, dov’è nata nel 1914, in piena guerra d’indipendenza, la signora Cig non è certo disposta a passare sopra le sue ricerche e i suoi principi. E ha rincarato la dose. Parlando con i giornalisti ha detto di non essere una cattiva musulmana, ma solamente di aver evidenziato un dato di fatto, cioè il reale valore attribuito oggi al velo islamico, e di essere una kemalista convinta, cioè una fedele seguace dei principi di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Turchia moderna. Non paga, la signora Cig ha speso anche qualche (pesante) parola sulla situazione odierna del suo Paese, dicendo apertamente che il governo di Recep Tayyip Erdogan e del suo partito (Akp, di orientamento islamico moderato) stanno facendo regredire la società e cancellando quei valori laici e repubblicani che rendono la Turchia uno Stato unico nel panorama mediorientale.
«La Turchia adesso è attraversata da una forte spinta nazionalista e reazionaria - ha concluso la studiosa - ma io sono ottimista per il futuro della mia nazione, e credo nel suo popolo. E comunque non permetterò a nessuno di farmi desistere dai miei principi, che sono quelli di Atatürk».
La Cig era già nota alle cronache turche per una lettera aperta scritta qualche tempo fa nientemeno che a Emine Erdogan, la consorte del premier, che indossa il türban, il velo islamico della tradizione turca.

Le aveva chiesto di non metterlo più nelle occasioni pubbliche, in grazia del ruolo istituzionale che ricopriva. «Nel privato può fare quello che vuole - disse al tempo la Cig -, ma quando è in pubblico, come moglie del capo del governo, non dovrebbe». Emine Erdogan non le ha mai risposto.

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