Politica

Critici esperti nell’arte del piagnisteo

Chi vede la rivista Flash Art non ha dubbi sul fatto che essa non sostenga valori culturali ma, con legittima spudoratezza, interessi di mercato. Brutta nell’estetica, indifferente alla qualità delle opere essa è costituita in gran parte da pagine pubblicitarie in perfetta contraddizione estetica (se mai vi fosse nell’arte contemporanea una tendenza prevalente o un orientamento distinto) e da elenchi, più o meno prezzolati, di gallerie riconosciute con relative recensioni di mostre talvolta firmate da critici compiacenti, talvolta redazionali, spesso a pagamento. È vero che coincidendo, in larga misura l’arte con il mercato dell’arte il panorama è vasto e nella quantità non mancano scoperte e sorprese. Nell’inserto dell’ultimo numero di aprile-maggio su Milano Oggi sono chiamati a parlare «i protagonisti del sistema dell’arte milanese» con l’esclusione dei rappresentanti delle istituzioni pubbliche (assessore alla cultura e il suo team di collaboratori, il sindaco Letizia Moratti, il presidente della Triennale, il Pac, la Fabbrica del Vapore) non in quanto tali (cioè pubblici), rispetto agli amati privati paganti, ma «in quanto da noi ritenuti interlocutori non affidabili, né culturalmente all’altezza delle nostre esigenze» soprattutto economiche dal momento che nessuna delle istituzioni citate ha ritenuto di dover fare riferimento ai responsabili della sedicente «prima rivista d’arte in Europa». Con queste premesse le importanti attività svolte negli ultimi mesi dal comune di Milano e in particolare dall’assessorato alla cultura, dalla mostra dei graffitisti al Pac, all’esposizione di «calamita cosmica» di Gino De Dominicis, alle mostre di Tamara de Lempicka, Boccioni, Kandinski, Chiara Dynys, Donghi, la bellissima «Camera con vista», appena aperta in Palazzo Reale, Dino Buzzati, Andres Serrano, Grazia Toderi, per non parlare di Basquiat alla Triennale e dell’importante «Timer» alla Bovisa o «Emergenze» all’Hangar Bicocca tutte realizzate, con grande impegno, nell’arco di pochi mesi, sono ignorate, nonostante la grande affluenza e l’interesse critico che hanno suscitato. Gli operatori convocati dalla rivista in un ideale forum su Milano Oggi se la tirano assai e, fra qualche consiglio intelligente e perfino riconoscimento, oscillano fra ovvietà e contumelie. Il fin qui ignoto Marco Scotini che si autodefinisce critico d’arte e curatore direttore arti visive Naba contrappone il suo nulla a «uno Sgarbi che mixa grazie a Toderi e a Luigi Serafini al Pac in attesa di una mostra di Roberto Innocenti o di chissà chi altro». Non gli piace neppure Serrano che, con la sua «Urina e sangue» è stata un’icona riconosciuta dell’arte contemporanea. Il suo malumore è spiegato meglio da Paola Manfrin che ne fa una questione di puntualità: «Sgarbi è bravo sul moderno (Lempicka, Boccioni) ma Milano dovrebbe essere rappresentata dal contemporaneo e in questo non è puntuale. Con Serrano e adesso con i graffiti al Pac siamo decisamente in ritardo con la scena internazionale. Comunque ci sta provando». Turbato dal ritardo ho verificato che Serrano ha poco più di 50 anni e che alcuni dei graffitisti sono piuttosto sui 25 che sui 30. Con questi esempi di presunzione è evidente che qualunque cosa si faccia si sbaglia perché soltanto l’ovvio raccoglie consenso. Nessun desiderio di conoscere ciò che non si conosce o di approfondire quello che è poco considerato. Un’alzata di scudi a priori si è levata contro Luigi Serafini, un ottimo artista attivo da quasi trent’anni, a cui nessuna istituzione pubblica ha mai dedicato una mostra. Non c’è né tolleranza né pazienza, ma solo arroganza, luoghi comuni e indisponibilità verso ciò che si ignora o che non è garantito dal mercato di riferimento. Per questo noi siamo orgogliosamente ritenuti interlocutori non affidabili, né culturalmente all’altezza delle loro esigenze. Le loro frustrazioni aumenteranno; non basteranno neppure Schnabel (troppo vecchio) o Balkenol (troppo classico) a soddisfarli. La loro visione è catastrofista, antagonista, aprioristica. Lo spiega Carlo Antonelli, direttore di Rolling Stones: «È banale, sconfortante e perfino imbarazzante ribadirlo, ma è la verità, e fa male abitandoci: la città versa nelle peggiori condizioni immaginabili». È il consueto autolesionismo, forte soprattutto in chi si sente escluso. D’altra parte l’arte vera non si afferma con le sovvenzioni. Nel gruppo degli operatori culturali si distingue, per intelligenza, evitando piagnistei, Enzo Cannaviello che afferma candidamente sottraendosi al coro di contumelie: «Per quanto riguarda l’arte contemporanea, però, siamo piazzati meglio di Parigi e almeno terzi in Europa dopo Berlino e Londra... Con Roma e Torino non esiste paragone! Quale città italiana riesce a schierare quaranta gallerie di qualità, tutte legate all’arte contemporanea, come avviene con Start? Ma, a parte le gallerie (che in questa città sono circa 280), il sistema dell’arte qui è molto più completo che a Roma e Torino». A questo fervore le attività pubbliche cercano di adeguarsi. Mi pare che con l’arrivo dello scheletrone di De Dominicis e con le mostre del Pac, della Rotonda della Besana e della Triennale Bovisa lo si stia dimostrando. Cannaviello se n’è accorto.

Non possiamo pretendere che chi si autodefinisce «altofragile» possa rendersene conto.

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