Cronaca giudiziaria

Fa sesso con un 13enne e rimane incinta: l'infermiera finisce in carcere

La Cassazione ha confermato la condanna a sei anni di reclusione per la 34enne di Prato che ebbe un figlio dal minore al quale dava ripetizioni di inglese. Per la donna, che ebbe il primo rapporto sessuale con il ragazzo quando quest'ultimo non aveva ancora compiuto 14 anni, si sono aperte le porte del carcere

La trentaquattrenne condannata
La trentaquattrenne condannata

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Fa sesso con un 13enne e rimane incinta: l'infermiera finisce in carcere

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Era stata condannata in appello a sei anni, cinque mesi e 15 giorni di reclusione, per violenza sessuale e atti sessuali con minore. Un verdetto che è stato confermato proprio nelle scorse ore dalla Cassazione. Per la "oss di Prato" si sono spalancate le porte del carcere femminile: dopo aver già scontato circa un anno agli arresti domiciliari, la donna di 34 anni, accusata di aver avuto una relazione ed un figlio dal minorenne al quale dava ripetizioni, sarà detenuta a Sollicciano. Questo è quanto riporta il quotidiano La Nazione, con la Suprema Corte che ha posto la parola "fine" ad una vicenda salita alla ribalta delle cronache nazionali ormai un quadriennio fa. Tutto iniziò però nell'estate del 2017 nella città toscana, quando la vittima non era ancora quattordicenne. Secondo quanto ricostruito, la donna (che lavorava come operatrice sanitaria) conosceva la famiglia del ragazzo perché frequentava la stessa palestra di arti marziali del figlio. Lei si era offerta di dargli lezioni private di inglese, visto che doveva sostenere l’esame di terza media.

La relazione con il minore durata due anni

Ma in un giorno di giugno di sei anni fa, si sarebbe concretizzato uno degli episodi-chiave ai fini della sentenza: la donna si trovava da sola in casa con il ragazzino, che avrebbe compiuto 14 anni nel novembre successivo. Finse in quell'occasione di lasciare l'abitazione in cui viveva il tredicenne, ma rientrò poco dopo. E dopo aver trovato il giovanissimo sul letto, intento a riposarsi, avrebbe consumato con lui il primo di una serie di rapporti sessuali. Fu in quel periodo che, secondo gli investigatori, iniziò la relazione fra l'adulta e il minore, che si sarebbe protratta sino a quattro anni fa. E da questo rapporto, nel 2018 è nato anche un bambino, che è poi stato riconosciuto dal marito della donna. Gli incontri fra l'adolescente e l'adulta sono andati avanti fino al 2019, per quanto negli ultimi mesi il ragazzo le avesse più volte manifestato l'intenzione di non vederla più. Sarebbe però stata la donna a costringerlo ad andare avanti: in una serie di messaggi allegati agli atti dell’inchiesta, si diceva pronta a raccontare tutto sulla sua paternità, qualora lui l'avesse lasciata. Una situazione che per il giovane era diventata insostenibile. Fino a quando quest'ultimo, nei primi mesi del 2019, raccontò tutto alla madre, facendo "esplodere" il caso.

Il verdetto della Cassazione

La Cassazione ha confermato l’impianto accusatorio della procura di Prato, assolvendo la trentaquattrenne solo per un capo di imputazione (ossia la violazione di domicilio riferita al giugno del 2017, quando sarebbe come detto stato datato il primo rapporto sessuale con il ragazzo). I genitori del padre biologico del bambino e la vittima (che a breve dovrebbe compiere 20 anni) si sono costituiti parte civile. Nell’inchiesta era finito anche il marito dell'imputata: condannato in primo grado per alterazione di stato civile (ossia per aver riconosciuto il figlio che la moglie aveva avuto dal minore, pur sapendo che non fosse suo) la condanna era stata cancellata in Appello. E adesso? La trentaquattrenne trascorrerà sicuramente i prossimi sette mesi dietro le sbarre. A quel punto avrà scontato un terzo della pena in carcere ed avendo un figlio di età inferiore ai 10 anni, potrebbe secondo la legge chiedere i domiciliari. "Le sentenze si rispettano – ha dichiarato l'avvocato della donna, Mattia Alfano – e come tale rispetto anche questa. Mi auguro che per questi ragazzi, che hanno bisogno di una mamma, lei possa uscire quanto prima.

Seguendo i percorsi dedicati alle mamme a cui si aprono le porte del carcere”.

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