Cronaca giudiziaria

Soldi e migranti. A processo il clan Soumahoro

A giudizio per reati fiscali della coop per i migranti moglie e suocera del deputato. I pm: "Sistema fraudolento"

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Chiuse agli arresti domiciliari ormai da un mese e mezzo, sconfitte anche nel ricorso al tribunale della Libertà che ha confermato la gravità delle accuse di bancarotta, frode e riciclaggio, le due donne di casa Soumahoro ricevono ieri il provvedimento che annuncia il giorno del giudizio. Liliane Murekatete e Marie Therese Mukamitsindo, moglie e suocera del «deputato con gli stivali» Aboubakar Soumahoro, verranno processate a partire dal 24 gennaio per le prime accuse mosse contro di loro, la sfilza di reati fiscali che nel dicembre dello scorso anno le portarono per la prima volta sulle pagine dei giornali: sollevando il velo sul lato sporco delle attività di Karibu, la onlus per il soccorso dei profughi che tanta parte ha avuto in questi anni nella trasformazione di Soumahoro in una icona dell`accoglienza.

Da allora molta acqua è passata, e molte lacrime in diretta tv del deputato, rifugiatosi nel gruppo misto della Camera dopo l`espulsione dall`alleanza Verdi-Sinistra. La Procura di Latina intanto ha continuato a scavare, portando alla luce l`inverosimile serie di sperperi per spese private compiute da madre e figlia ai danni delle casse della onlus. E ora, grazie alle indagini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Latina, è in grado di tirare le somme del primo filone. È il filone che portò al sequestro di 640mila euro alle due donne, e che ha anch`esso al centro il cuore del sistema da loro ideato. Ovvero, come si legge negli atti, un «collaudato sistema fraudolento» ideato non solo per evadere il fisco ma «per giustificare la richiesta di finanziamenti alla Direzione centrale del "sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati"». Con i soldi per l`accoglienza ripianavano i loro sperperi. Analizzando i conti, si legge, «sono stati riscontrati prelevamenti in contanti, bonifici verso l`estero, distrazioni di denaro per finalità estranee alla gestione dei progetti. A questo si aggiungono gli allarmati accertamenti sulla qualità dei servizi erogati».

L`utilizzo di false fatture da parte della coppia di donna, contestato inizialmente per gli anni dal 2015 al 2017, si è esteso ora al 2018 e 2019. Sotto la lente insieme a Karibu è finito anche il consorzio Aid, praticamente una propaggine della famiglia: presidente è un figlio della Mukamitsindo, consigliere è l`altra figlia. «Un illecito meccanismo fraudolento a gestione familiare», lo definisce il giudice nel provvedimento che inibiva a madre e figlia la gestione della onlus. A fornire le fatture false era una società di nome Jambo, che aveva la sede allo stesso indirizzo della Karibu, svanita nel nulla - insieme al suo amministratore - appena l`Agenzia delle entrate ha iniziato a indagare. Ma intanto la Jambo aveva provveduto a spostare all`estero i soldi prelevati dalle casse di Karibu: soldi in buona parte di provenienza pubblica.

In sostanza il processo che inizia il 24 gennaio, con l`imputazione abbastanza lieve di utilizzo di fatture false, finirà con il costituire il banco di prova della seconda inchiesta, quella che verrà chiusa il prossimo anno, e dove madre e figlia rischiano condanne ben più pesanti.

Che la Murekatete, nelle sue dichiarazioni davanti al giudice preliminare, ha cercato di scaricare sulla mamma: «Quegli acquisti non li ho effettuati io, non ho mai avuto in uso carte di credito della cooperativa».

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