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Bello, biondo e brutale: chi era Robledo Puch, la storia dell'angelo serial killer

Conosciuto anche come “l’angelo della morte”, Carlos Robledo Puch è stato condannato per undici omicidi commessi tra il 1971 e il 1972

Bello, biondo e brutale: chi era Robledo Puch, la storia dell'angelo serial killer

Undici omicidi accertati e una lunga lista di reati gravi: Carlos Eduardo Robledo Puch resta ancora oggi uno dei nomi più inquietanti nella storia criminale dell’Argentina. Bello e brutale, è conosciuto con soprannomi che raccontano già molto del suo profilo: “l’angelo della morte”, “l’angelo nero”, “l’angelo fortunato”. La sua carriera criminale dura appena un anno, ma lascia dietro di sé un bilancio drammatico: oltre agli omicidi, viene condannato per un tentato omicidio, diciassette rapine, uno stupro, un tentato stupro, un abuso sessuale, due rapimenti di minori e due furti.

Infanzia e adolescenza

Puch nasce il 19 gennaio del 1952 a Buenos Aires. A differenza della stragrande maggioranza dei serial killer, non vive un’infanzia travagliata e ricca di traumi. Nessuna violenza, nessun sopruso. Nel 1956, quando ha quattro anni, la famiglia si trasferisce a Olivos, un quartiere residenziale della capitale argentina. Il padre lavora alla General Motors, la madre si occupa della casa. Il giovane cresce in un contesto familiare operaio, senza particolari problemi apparenti. È descritto come un ragazzo timido, chiuso. Ma dietro quella personalità riservata si nasconde un’escalation criminale destinata a sconvolgere l’opinione pubblica.

Il primo omicidio

La svolta arriva il 15 marzo 1971. Lui, circondato dall’amore dei cari e dotato di buona intelligenza, si trasforma nell’angelo della morte. Insieme al complice Jorge Antonio Ibañez, di due anni più giovane di lui, Puch entra nella discoteca “Enamor”. Dopo aver rubato 350 mila pesos, uccide sia il proprietario che il custode notturno, entrambi colpiti nel sonno con una pistola Ruby calibro 32.

Da quel momento, gli episodi di violenza si susseguono in rapida successione e le scorribande si moltiplicano. Il 9 maggio, i due fanno irruzione in un negozio di ricambi Mercedes-Benz a Vicente López. All’interno si trovano una coppia e il loro neonato. L’uomo viene ucciso con un colpo di pistola, la donna ferita. Ibañez tenta di violentarla, senza riuscirci. Puch, prima di fuggire con 400.000 pesos, spara verso la culla del bambino, che piange. Fortunatamente mamma e figlio sopravviveranno.

La scia di sangue

Il 24 maggio i due uccidono un altro guardiano notturno, questa volta in un supermercato. Il 13 giugno, Ibañez violenta una ragazza di 16 anni su un’auto rubata; Puch la uccide subito dopo con cinque colpi d’arma da fuoco. Pochi giorni dopo, il 24 giugno, l’episodio si ripete: tentato stupro ai danni di una donna di 23 anni, che viene poi uccisa con sette colpi dall’angelo della morte. Il 5 agosto 1971, Ibañez muore in un incidente stradale. Alla guida c’è Puch, che si allontana dal luogo dell’impatto lasciando il corpo dell’amico nell’auto.

Un nuovo complice, nuovi omicidi

Dopo la morte di Ibañez, Puch si unisce a Héctor Somoza. Il 15 novembre 1971 fanno irruzione in un supermercato di Boulogne, armati di una pistola calibro 32. Nei giorni seguenti assaltano due concessionarie d’auto, uccidendo i guardiani e portando via un bottino di oltre un milione di pesos.

Il 1° febbraio 1972 i due colpiscono ancora, questa volta in un negozio di ferramenta. Uccidono il guardiano e cercano di aprire la cassaforte. Non riuscendoci, Puch – in quello che appare come un gesto impulsivo o calcolato – spara a Somoza e lo uccide. Per evitare che il corpo venga identificato, ne brucia il volto con una fiamma ossidrica. Poi apre la cassaforte, prende i soldi e si dà alla fuga. La polizia lo arresta il 4 febbraio. La sua carta d’identità viene trovata nei pantaloni di Somoza. Carlos ha appena compiuto 20 anni.

Il processo e la condanna

Il processo si tiene nel 1980. Puch viene condannato all’ergastolo, la pena massima prevista dal codice penale argentino. Viene rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Sierra Chica. Di fronte al giudice, pronuncia parole che suscitano scalpore: "Questo era un circo romano, sono stato giudicato e condannato in anticipo”. Nel luglio del 2000, Puch diventa formalmente idoneo a richiedere la libertà condizionale, ma non lo fa. Ci prova nel 2008, ma la richiesta viene respinta con la motivazione che rappresenta ancora un pericolo per la collettività.

Nel novembre 2013 chiede una revisione della condanna o, in alternativa, l’iniezione letale, nonostante in Argentina la pena di morte non sia prevista. La Corte Suprema rigetta entrambe le istanze. Un ulteriore ricorso, nel 2015, ottiene lo stesso risultato. Il 10 maggio 2016, dopo 44 anni consecutivi in carcere, esce per la prima volta dalla prigione per sottoporsi a esami medici, a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.

A gennaio

2019, Carlos Robledo Puch diventa il detenuto più longevo nella storia del sistema penitenziario argentino. Un record drammatico per un uomo che ha segnato con il sangue una delle pagine più buie della cronaca nera del Paese.

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