Gli attivisti svizzeri della Flotilla hanno ricevuto una sgradita sorpresa da parte della Confederazione, che ha inviato le fatture per le spese sostenute dallo Stato per il rimpatrio a seguito dell'arresto da parte di Israele. La fattura è arrivata da parte del Dipartimento federale degli affari esteri (FDFA), che ha addebitato agli attivisti i costi amministrativi e di emergenza. Sono in totale 20 gli attivisti che hanno partecipato alle missioni della Flotilla con due diverse organizzazioni, "Waves of Freedom” e uno a “Mille Madleens to Gaza”.
Le fatture arrivano fino a 11mila euro ma hanno importi variabili che, spiega la Confederazione, riflettono i diversi costi sostenuti per l'assistenza consolare, che include interventi con le autorità israeliane, visite carcerarie di varia durata e disponibilità e assistenza al ritorno in Svizzera. Ancora una volta la Svizzera si dimostra pragmatica nelle sue decisioni, scegliendo di non addebitare allo Stato i costi per una missione che non era umanitaria e non era ufficiale, rendendo i partecipanti responsabili delle proprie azioni. Sébastien Dubugnon era uno degli attivisti che ha fatto parte della Flotilla ed è stato tra quelli che sono stati espulsi da Israele in Turchia. Secondo lui è stato proprio il Paese di Erdogan a pagare le spese per il suo rimpatrio, non la Svizzera, ma non si capacita di aver ricevuto una fattura da 300 dollari da parte del suo Paese.
Probabilmente la Turchia, dopo aver pagato le spese di rimpatrio, ha chiesto il rimborso alla Svizzera, che ora ha deciso di rivalersi sui suoi cittadini. Per Dubugnon, invece, il Paese elvetico non ha fatto nulla. "Abbiamo visto un rappresentante consolare che è stato letteralmente congedato dopo un brevissimo tempo, senza nemmeno vedere la metà di noi. E ci ha detto che non poteva aiutarci neanche lui", ha detto ancora. E ha anche aggiunto che "non ha mai avuto alcun contatto con l'assistenza consolare in Svizzera, né all'arrivo a Ginevra, né per telefono, né altro".
Intanto la Confederazione non sembra intenzionata a fare passi indietro e conferma la sua intenzione a chiedere il rimborso per le spese sostenuto. Per il momento è l'unico dei Paesi di appartenenza degli attivisti ad aver scelto questo approccio: tutti gli altri per ora non sembrano intenzionati ad addebitare alcuna spesa.