L'Adidas chiede scusa agli indios messicani. "Noi colpevoli di appropriazione culturale"

L'azienda si era ispirata al tradizionale sandalo "huarache". Il governo centroamericano pretende un risarcimento

L'Adidas chiede scusa agli indios messicani. "Noi colpevoli di appropriazione culturale"
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Appropriazione calzaturiera. Il dominio del woke fa un’altra vittima eccellente: la Adidas. La multinazionale tedesca di Herzogenaurach ha ceduto alle pressioni dell’opinione pubblica e ha chiesto scusa a una comunità indigena messicana per essersi ispirata nella produzione di un modello di scarpe a una calzatura tradizionale degli indios.

La calzatura della discordia si chiama Oaxaca Slip-On ed è un incrocio tra una sneaker e un sandalo intrecciato. Un articolo francamente piuttosto brutto ma che unisce la comodità di una suola elastica a una piacevole traspirazione del piede. Disegnata dallo statunitense Willy Chavarria, la Oaxaca nasce come esplicito omaggio alle tradizionali calzature messicane in cuoio chiamate huaraches e prodotte dalla popolazione indigena di Villa Hidalgo Yalálag, dove sono da sempre largamente utilizzate. E del resto lo stesso Chavarria è di origine messicana. Ciò che però non ha salvato il designer e l’azienda tedesca dal polverone social levatosi già nel giorno della presentazione delle calzature. Naturalmente le accuse sono state di appropriazione culturale con l’aggravante del business.

La Adidas si è subito accorta di essersi cacciata in un vespaio. Così dopo pochi giorni ha rimosso la Oaxaca Slip-On dalla vendita online. Ciò che non ha fermato le polemiche, alimentate anche da una dura presa di posizione da parte della presidentessa della repubblica centroamericana Claudia Sheinbaum. Il governo di Città del Messico ha anche annunciato che chiederà un risarcimento finanziario all’azienda, che poi devolverà alla comunità culturalmente «derubata».

Così ieri la Adidas è stata costretta alla completa retromarcia. Karen González, responsabile legale di Adidas Messico, ha riconosciuto che la scarpa è stata progettata sulla base di un modello tradizionale della comunità di Villa Hidalgo Yalalag e ha ammesso che «ciò possa aver causato disagio e, per questo motivo, ci scusiamo pubblicamente». La dirigente ha anche assicurato che d’ora in poi Adidas cercherà la guida e la collaborazione della comunità per i modelli futuri, nel rispetto della cultura locale, che fa dell’artigianato una delle fonti del suo sostentamento.

Non è certo questo il primo caso di una multinazionale costretta a sacrificare il business all’altare della wokeness. Il caso più eclatante è quello della Disney, costretta a «rileggere» il suo catalogo di film alla luce delle nuove sensibilità con risultati piuttosto ridicoli come la sirenetta di colore del film uscito nel 2023. La Disney ha anche infarcito il catalogo digitale di disclaimer su contenuti considerati problematici a causa della loro «rappresentazione arcaica» di alcune situazioni socio-culturali.

In realtà questi eccessi sembravano ormai superati, soprattutto negli Stati Uniti, dove il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha portato a uno sbianchettamento della politica cosiddetta DEI (Diversity, Equity and Inclusion ) a cui le aziende erano state obbligate durante l’amministrazione Biden.
Ma la Adidas è un’azienda europea e come tale è ancora vittima del woke a tutti i costi.

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