Cronaca locale

"Sala ci aiuti a salvare il museo del tatuaggio di Milano"

L'appello dei Fercioni: "Il nostro museo rischia di chiudere. Il comune faccia qualcosa per salvarlo"

"Sala ci aiuti a salvare il museo del tatuaggio di Milano"

"Non c'erano capelli sulla sua testa - nessuno di cui parlare almeno - nient'altro che un piccolo nodo di cuoio capelluto attorcigliato sulla sua fronte. La sua testa calva e violacea ora cercava tutto il mondo come un teschio ammuffito. (...) Finalmente mostrò il suo petto e le sue braccia. Queste parti erano a scacchi (...). Inoltre, le sue gambe erano segnate, come se un fascio di rane verde scuro stesse correndo sui tronchi di giovani palme”. Questa è la descrizione di Queequeg, il marinaio maori descritto da Herman Melville in Moby Dick. Ed è a lui che Gianmaurizio Fercioni ha dedicato il suo studio per tatuaggio, il primo di Milano, negli anni Settanta. Decenni di passione, studio e approfondimento hanno fatto diventare il suo studio un vero e proprio museo, che ora però sta per chiudere.

Olivia, la figlia, racconta al Giornale.it cosa sta succedendo: “Tutto è iniziato quando i proprietari dello stabile in cui ci troviamo hanno deciso di rifare la facciata per usufruire del bonus del 110%, compresa quella sul retro. Ma il punto è che il nostro studio è l’unico modo per accedere al cortile che vogliono ristrutturare”. A marzo del 2023 scadrà il contratto, che non verrà rinnovato. “A febbraio, abbiamo contattato sia il sindaco Beppe Sala sia l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Il punto, spiega Olivia, non è solamente trovare un luogo dove poter continuare a tatuare ma uno spazio adatto a ospitare i documenti, gli oggetti e le testimonianze di un’arte, quella del tatuaggio, che accompagna l’uomo fin dall’alba dei tempi. “Abbiamo strumenti birmani, thailandesi e giapponesi che vengono usati da secoli per realizzare i tatuaggi. Abbiamo anche svariate tavole originali di tatuatori di tutto il mondo da fine 800 ad oggi. Ci sono riproduzioni di tavole, perché purtroppo quelle originali non si possono avere, di Cesare Lombroso che, mentre studiava i crani dei detenuti, osservava anche i loro tatuaggi”.

Oggi chi si avvicina al mondo dei tatuaggi non è più una persona borderline. Non sono più i tempi in cui Gianmaurizio Fercioni doveva tenere a bada skinheads e ragazzi dei centri sociali che andavano a farsi tatuare da lui. “Oggi sono sempre di più coloro che si interessano a questo mondo - prosegue Olivia - perdere un museo come il nostro sarebbe un peccato per Milano. Chiedo al sindaco Sala e all’assessore alla Cultura Sacchi di fare qualcosa per noi. Noi ci siamo già mossi con una petizione. Ma ora il Comune faccia qualcosa.

Per tutta la città…”.

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