Sono loro. Erano loro: li hanno avvistati fin da mercoledì, quando le ricerche si sono fermate. L'ufficialità, però, è arrivata solo ieri con le parole dell'ambasciatore italiano in Pakistan, Stefano Pontecorvo: «Le ricerche si fermano qui». Daniele Nardi, 42 anni e Tom Ballard, 31, erano dove hanno voluto essere fino all'ultimo: a 5.900 metri, sullo Sperone Mummery del Nanga Parbat. Una macchia rossa come il duvet di Daniele; un'altra blu, come (...)
(...) la giacca di Tom. Da quel 24 febbraio, in cui Nardi telefonò alla moglie per l'ultima volta, per trovarli ci sono voluti 10 giorni e 16 uomini che a piedi, in volo, con droni, binocoli e telescopi e, soprattutto, col cuore hanno cercato, sperato. Prima Ali Sadpara, il pakistano, poi Alex Txikon, il basco.
Dopo le prime ricerche a piedi ed in volo, la svolta è arrivata con la tecnologia di un telescopio che scova due puntini colorati nel grigio della roccia. Poi il silenzio, come richiesto dalle famiglie. Nemmeno gli elicotteri si sono più alzati, anche per la pericolosità di recuperare le salme dei due ragazzi. Un ultimo volo avrebbe dovuto passare accanto alla parete, per confermare ciò che già era evidente, ma alla fine non c'è stato nemmeno quello. I soccorritori, infatti, fin da giovedì, avevano iniziato la loro discesa a piedi, prima al campo base che, nel frattempo, era stato smantellato, poi al villaggio di Ser in attesa di essere «evacuati» da un elicottero. Chi a casa. Chi, come Txikon, di nuovo al K2 per proseguire, forse, una nuova impresa, la salita al K2, ultimo Ottomila ancora inviolato d'inverno. Sulle spalle si son caricati un peso ben più grande delle «cose» di Tom e Daniele, raccolte a ritroso sulle tracce della loro ultima avventura. La discesa, 30 chilometri a piedi e poi 200 in jeep, è stata devastante nell'animo più che nel carico. Lo racconta Txikon in un post che scandisce le giornate di ricerca, funestate da continue valanghe, pericoli, crolli.
La cifra e il dna di questo sperone, mai tentato da nessuno - se si esclude la discesa disperata dei fratelli Messner, conclusa con la morte di Guenther nel 1970 - se non dallo stesso Nardi. Prima solo, poi sempre con un compagno diverso, come Tom, questa volta, contagiato dall'entusiasmo di un'avventura che Daniele stesso definiva «incredibile, quasi impossibile». Messner ora dice: «Mi dispiace molto per Ballard che era un ottimo alpinista ma a Nardi dissi più volte di non percorrere quella via. Tre anni fa quando era venuto a Castel Firmiano gli avevo detto di non andare. Anche Moro gli aveva consigliato di evitare quella via. È difficile poter capire la dinamica da un semplice fotogramma ma, a mio parere, sono morti travolti da una valanga». Ora la famiglia di Nardi, che lascia anche un bimbo di 6 mesi, ringrazia e chiede che Daniele sia ricordato «come marito, padre, figlio, fratello e amico perso per un ideale che, fin dall'inizio, abbiamo accettato, rispettato e condiviso».
A capire un poco di più di questo forte alpinista laziale che ha sfidato gli Ottomila «da sotto il Po» resta un libro che sarà presto edito, come lui aveva lasciato scritto alla coautrice «anche nel caso non tornassi». È scritta, invece, nelle parole definitive della fidanzata di Tom, una disperazione senza ritorno: «La montagna prende e dà. Una barriera avevo innalzato per accettare i pericoli ai quali ti esponevi», scrive Stefania Pederiva, dalla Val di Fassa, dove i due vivevano. Quello scozzese, che, da bimbo, aveva perso la mamma sul K2, l'aveva stregata: «Occhi trasparenti, ciuffi biondi». Lui era il suo piccolo principe. Lei non è riuscita a metterlo sotto una campana di vetro, come la rosa del libro: «Dolore e rabbia: ti dicevo che su quella montagna non dovevi andare, i tuoi sogni non erano lì. Madre natura non ti ha più protetto. Ti ritroverò nei fiumi e negli alberi: sarai sempre la mia roccia più bella».
Che prezzo ha un sogno, quando si lascia a casa una cosa così bella? Noi, uomini delle basse quote, non lo capiremo mai. Sul Nanga resta chi lo ha amato sopra ad ogni cosa: Tom e Daniele come il polacco Tomek Mackiewicz, scomparso lo scorso inverno; Karl Unterkircher nel 2008, Guenther Messner e, due secoli fa, Albert Mummery, il primo a sognare quello sperone. Una cordata di sogni, che sale per sempre.
Il resto sia silenzio.
Lucia Galli
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