Cronache

La nuova tecnica degli scafisti ​per portare i migranti in Italia

L'operazione illustrata oggi presso la procura di Agrigento, denota una modalità sempre più collaudata nell'organizzazione degli sbarchi: una nave madre traina piccoli barchini fino in prossimità delle coste italiane

La nuova tecnica degli scafisti ​per portare i migranti in Italia

Non c’è più l’attenzione mediatica di questa estate, quando nel bel mezzo delle giornate più calde dell’agosto siciliano, dagli uffici della Procura escono i fogli delle inchieste inerenti la nave Diciotti, che vedono il ministro Salvini indagato fino alla richiesta di archiviazione arrivata ad inizio novembre. Ma nonostante ciò, l’attività in seno al palazzo di giustizia di Agrigento appare frenetica. E nel cuore dell’ultimo lunedì di novembre proprio il protagonista principale di quelle giornate, il procuratore Luigi Patronaggio, rivela i dettagli di un’importante operazione compiuta nell’ambito del contrasto all’immigrazione.

Sei scafisti arrestati, 68 migranti trainati fino a Lampedusa, un inseguimento operato dagli uomini della Marina militare e della Finanza in alto mare che permette anche di rintracciare una cosiddetta “nave madre”. Sono questi numeri ed elementi che spiccano nell’azione presentata in dettaglio al tribunale di Agrigento: “Questa procura – rivendica Patronaggio – Ha sempre avuto grande attenzione verso il contrasto dell’immigrazione. Voglio ricordare che proprio da qui lo scorso anno è partito l’allarme sul rischio terrorismo derivante dagli approdi lungo le coste agrigentine. Gli sbarchi fantasma non ce li siamo inventati noi”.

Il procuratore rivela poi i numeri che riguardano proprio il fenomeno migratorio in questo 2018: “Contiamo complessivamente 207 sbarchi – afferma Patronaggio – Più di tremila immigrati approdati, 700 dei quali sono minori non accompagnati. C’è una diminuzione del 75% degli sbarchi rispetto allo scorso anno. Ma il lavoro compiuto nel nostro circondario da parte di tutte le forze dell’ordine è comunque sempre molto impegnativo”.

Una situazione quindi ancora complessa, nonostante i numeri parlino di un drastico calo degli attraversamenti del canale di Sicilia. E lo scorso 22 novembre un areo impegnato nella missione Frontex avvista, non lontano da Lampedusa, un peschereccio che traina un piccolo barchino. Come specificato dallo stesso Patronaggio, inizialmente sembra che questa imbarcazione sia normalmente impegnata in una battuta di pesca. Ma così non è: il piccolo natante agganciato con una corda desta sospetti, specie quando viene lasciato alla deriva dall’imbarcazione madre. Da qui, scattano i controlli della guardia di Finanza. Ne nasce un inseguimento molto delicato: “Bastavano pochi minuti di navigazione in più – afferma un rappresentante della marina militare presente in conferenza stampa – E non avremmo più potuto proseguire l’operazione”. Infatti il peschereccio viene braccato a soltanto 20 miglia dalle acque tunisine e a 40 da quelle libiche. L’azione è svolta in un punto lontano 200 miglia da Lampedusa, dunque si è decisamente in alto mare.

Nel piccolo barchino invece, la guardia costiera soccorre 68 migranti stipati nella parte più bassa dell’imbarcazione. Per questo motivo, dall’alto il natante sembra vuoto e senza la presenza di persone a bordo. Questo permette di appurare una dinamica sempre più collaudata, sia negli sbarchi fantasma che in quelli sventati lungo il canale di Sicilia. Esiste una nave madre, con a bordo gli scafisti che traina barchini molto piccoli. È lì che vengono stipati i migranti, lasciati alla deriva a pochi passi dalle coste di Lampedusa o della Sicilia. Grazie ad un piccolo motore, il barchino riesce ad avere autonomia necessaria a raggiungere le coste permettendo agli scafisti di fuggire con il peschereccio più grande e non lasciare traccia.

Così ha provato a fare anche l’equipaggio della nave madre dell’operazione in questione. Il completamento dell’azione da parte dei nostri militari a poche miglia dalle acque tunisine, ne ha permesso l’arresto. Le manette sono scattate per sei scafisti, i quali si dichiarano di nazionalità egiziana: “Secondo l’intelligence – specifica poi Patronaggio – La traversata sarebbe partita dalla Libia. Questo gruppo che abbiamo preso avrebbe la propria base proprio lungo le coste libiche”. Un metodo dunque non solo sempre più collaudato, ma anche più sicuro: chi organizza i viaggi e chi ha il compito di indirizzarli verso l’Italia, non deve né rischiare la vita a bordo delle imbarcazioni e né mettere in conto di essere arrestato una volta approdato.

Le indagini inerenti il caso sopra menzionato adesso vanno avanti: c’è da chiarire se alle spalle dei sei egiziani arrestati si nascondano altri gruppi ancora più importanti. Di certo, l’operazione è riuscita a rilevare elementi molto importanti sia per le future inchieste e sia per accertare le dinamiche degli sbarchi soprattutto degli ultimi mesi.

Rotte libiche e rotte tunisine, per quanto riguarda la Sicilia sono questi i due percorsi che maggiormente recano grattacapi a popolazione ed autorità. A Lampedusa anche in questi giorni si continuano a registrare sbarchi, il più delle volte con migranti che arrivano dalla Tunisia.

I sei egiziani fermati verranno nuovamente interrogati nelle prossime ore.

L’obiettivo è acquisire sempre più dettagli per meglio chiarire cosa avviene soprattutto lungo le coste libiche, lì dove l’instabilità politica ed il controllo del territorio da parte di locali milizie non permettono di avere chiara la situazione.

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