Dalle parti di Bruxelles sette anni possono essere un'era geologica. Tanto che se nel 2011 era tutto un fiorire di spread alle stelle e sorrisetti ironici da parte dei partner europei che auspicavano pubblicamente un cambio della guardia a Palazzo Chigi, oggi lo scenario è completamente ribaltato. Il passato è passato, al punto che Silvio Berlusconi è tornato a essere uno degli interlocutori italiani più affidabili non solo per il Ppe, ma per buona parte dell'establishment europeo. Un percorso di riavvicinamento iniziato da mesi e che domani avrà una conferma nel faccia a faccia in programma a Bruxelles con Jean Claude Junker, presidente della Commissione Ue. Il primo di una serie di incontri che coinvolgeranno tutti i big del Ppe (Joseph Daul, Manfred Weber e Antonio Lopez) e alcuni commissari Ue.
Sette anni dopo, dunque, Berlusconi si prende la sua rivincita su quell'Europa che - di sponda con il Quirinale - nel 2011 favorì la sua dipartita da Palazzo Chigi. È il segno dei tempi e la conferma del fatto che in questi anni Bruxelles ha faticato non poco a trovare una sintonia con Roma che nel dopo Berlusconi non è stata mai capace di garantire stabilità. Né politica - Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, quattro premier in sette anni ne sono la conferma - né economica. Così è andata pian piano cambiando l'aria, fino al paradosso che da qualche settimana persino la grande stampa internazionale che ha sempre puntato il dito contro il Cavaliere sembra avere cambiato idea. «Berlusconi può salvare l'Italia», è arrivato a scrivere Bill Emmott, il direttore dell'Economist che nel 2001 dedicò all'allora premier una copertina in cui lo definiva «unfit to lead Italy».
D'altra parte, il Cavaliere resta per l'Europa uno dei pochi interlocutori validi. Non è un caso che da tempo abbia messo un freno alla deriva populista di una parte del centrodestra, cercando di smussare alcuni eccessi della Lega e silenziando chi in Forza Italia proponeva improbabili referendum sull'uscita dall'euro. Un approccio di dialogo con Bruxelles, pur nella convinzione - ribadita ancora in queste ore, magari memore proprio del 2011 - che le istituzioni europee non debbano interferire in alcun modo nella campagna elettorale italiana. Un cambio di marcia in cui ha avuto un ruolo Antonio Tajani, arrivato fino alla presidenza del Parlamento europeo. Ma il cui elemento decisivo è stato forse l'inaffidabilità di altri potenziali interlocutori, Matteo Renzi in primis. La debolezza del leader del Pd e la sua svolta scomposta e antieuropea dello scorso anno nel tentativo di rincorrere i grillini sul loro terreno, non è infatti passata inosservata a Bruxelles, al punto da creare qualche problema pure a Paolo Gentiloni. Superfluo dire che anche la deriva populista dei Cinque stelle e della Lega non raccoglie le simpatie dell'Europa e delle cancellerie più importanti, visto che sia la Francia sia la Germania restano comunque saldamente ancorate all'Ue.
Che, è il refrain di Berlusconi, va rivista nei troppi vincoli e nell'eccessiva austerità, ma «non va certo messa in discussione». Detto da chi in pochi anni è passato dall'essere «unfit to lead Italy» a «fit to save Italy».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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