Cronache

Bersani e la morte: “Quando mi sono stato male avevo paura di fare la fine del pirla"

Ha raccontato dell’emorragia cerebrale che lo ha colpito nel 2014 e del concerto di Bob Marley che per poco non rischiò di perdere

Bersani e la morte: “Quando mi sono stato male avevo paura di fare la fine del pirla"

Pier Luigi Bersani si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera, nella quale ha ricordato anche quel 2014 in cui rischiò di morire a causa di una emorragia cerebrale e altri episodi istituzionali della sua vita, tutti accompagnati da un concerto rock. “Il destino ha voluto che ogni momento importante della mia vita nelle istituzioni fosse accompagnato da un concerto rock. Il rock, in fondo, è quella dissonanza che corregge il mainstream, quel tono di vivacità che interviene sulle cose convenzionali rendendole più comprensibili, e anche più belle” ha detto in ultimo riassumendo la sua lunga chiacchierata, circa un’ora. E a ispirarlo nel suo stile alquanto particolare si scopre che non è stato un politico del passato, bensì il chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards.

L'importanza del rock nella sua vita

L’intervista ha inizio con una data, il 27 giugno 1980, giorno in cui si insedia il consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, in cui Bersani era appena stato eletto. Non aveva però preso bene quella notizia, soprattutto la data, che coincideva proprio con il concerto di Bob Marley allo Stadio San Siro di Milano, per il quale aveva comprato i biglietti da mesi. Ma la sua voglia di andare a vedere il suo mito gli ha permesso di fare l’impossibile: “Non l’avrei perso per nulla al mondo. Inizia la seduta del consiglio regionale, stavo fremendo perché più passavano le ore, più il rischio di perdere il concerto si faceva concreto. Ce la faccio per un pelo: mi infilo con giacca e cravatta in un pullman di “smandrappati” che parte da Bologna ed è diretto allo stadio di Milano. Arrivo per tempo ma ovviamente ero vestito da consigliere regionale, non avevo fatto in tempo a cambiarmi. Sul prato di San Siro c’era un odore di hashish che si moriva; ovviamente, vestito in quel modo, tutti mi scambiavano per un questurino. E io stavo al gioco, vivevo quel sogno collettivo e intanto mi aggiravo tra la gente simulando uno sguardo inquisitorio, unico con la giacca tra ottantamila persone”.

Ma non fu l’unica volta in cui un concerto rock si sovrappose a degli appuntamenti istituzionali. Era successo anche nel 1994 quando il consiglio dell’Emilia-Romagna lo aveva eletto presidente della Regione. Durante un’accesa discussione per ridurre il numero di assessori, Bersani saluta tutti e se ne va al Palasport a vedere i Guns’n roses. Due anni dopo, quando Prodi lo chiama per diventare il ministro dell’Industria, molla la riunione per gli Ac/Dc e spegne anche il telefono per non rischiare di essere disturbato. Anche parlando delle famose lenzuolate che avrebbero cambiato la vita degli italiani, con il secondo governo Prodi, Bersani tira fuori la musica. Questa volta tocca a Keith Richards, il chitarrista dei Rolling Stones. Il quale, come sottolineato da Bersani, se si ascolta bene, si scopre che gioca sempre d’anticipo. Ovvero, anche solo una frazione di secondo prima cambia tutto il brano. E lui dice di fare proprio così, ammettendo di aver “sempre cercato quell’anticipo alla Keith Richards nella mia vita. Non è che lui dicesse “ah, zitti tutti, adesso parto con l’assolo di chitarra”. No, lo fa e basta. La riforme si fanno così, come gli assoli di Richards”.

Avrebbe giocato d’anticipo anche nel 2013, se solo fosse stato eletto premier. In che modo? Con lo ius soli, la sua mossa d’anticipo nascosta nel taschino, spiazzando tutti. Ma non è successo. Da giovane parlava da schifo, prima cioè di conoscerlo per la mucca in corridoio. La colpa era della laurea in filosofia e della sua militanza politica, la cui unione non gli permetteva di farsi capire dagli altri. “Poi ho capito che parlare chiaro non è una questione di linguaggio ma una vera e propria scelta morale. Le riforme dovevi spiegarle a quelli che fanno vite normali, perché l’establishment le conosceva già” e ha tirato fuori la mucca in corridoio, chi non capisce un esempio simile?

Quando Bersani rischiò di morire

Di quel terribile 5 gennaio 2014, in cui venne colpito da una emorragia cerebrale, Bersani ricorda che si trovava a bordo di una ambulanza, cosciente del pericolo che stava correndo, con personale medico e paramedico intorno a lui. Ebbene, solo un pensiero gli venne in mente: “Se non mi salvo, muoio da pirla. Diranno tutti, quel Bersani è stato un pirla”. Alla faccia di chi vede il tunnel di luce, ripensa a tutta la sua vita o teme il giudizio divino. Il motivo viene subito spiegato: era stato proprio lui a non volere il reparto di neurochirurgia a Piacenza, perché l’eccellenza doveva essere a Parma. Morendo nel tragitto tra Piacenza e Parma non ci avrebbe fatto una bella figura in effetti. “Morto e pirla insieme. Invece arrivo all’ospedale di Parma ed erano già tutti pronti a operarmi, con tutti i miei dati e con l’assoluta eccellenza. Tantissimi altri si sono salvati così. Diciamo che la bontà di un modello di organizzazione l’ho testata in prima persona. E ha funzionato”. Buon per lui. Alla domanda se tornerà nel Partito democratico, Bersani è certo che prima dovranno cambiare molte cose, anche rischiando e investendo sul proprio consenso. Altrimenti vince la destra. Se non cambia nulla nel Pd, non torna.

Una vita segnata dal rock.

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