Bibbia 3.0 delle minori nude: ecco cosa rischia chi la utilizza

La legge punisce la detenzione e la diffusione di materiale pedo-pornografico. Ma riuscire a fermare la divulgazione online è difficile. Nonostante le pene previste siano severe

Bibbia 3.0 delle minori nude: ecco cosa rischia chi la utilizza

“Denunciate pure”. E ancora: “Possono scrivere quanto vogliono, non ci prenderanno mai”. Sono le frasi ripetute più e più volte volte nei commenti di Facebook e nelle chat di Telegram. Non curanti, o forse più disinteressati, a quello che effettivamente rappresenta la "bibbia 3.0". Un immenso file online di foto e video pedopornografici che ha fatto il giro dei social network e dei gruppi WhatsApp.

Il dossier hard, strumento di umiliazione di migliaia di ragazzine, per gli internauti non è nient’altro che un gioco. Come peraltro è, secondo il loro parere, la denuncia de ilGiornale.it. Una specie di sfida: “Adesso continuo a condividerla, che mi vengano a prendere” dice un utente e amministratore di un gruppo Telegram. E ancora: “Lasciateli scrivere, noi troviamo la versione 3.1, forza!”.

Eppure non stiamo parlando di un gioco. Perché la "bibbia" è questo: un puzzle deviato, fatto per divertimento e stupidità: una montagna di file, oltre 10mila documenti che dipingono un orrore pornografico di 4 Gb.

Ma c’è chi, come un ragazzo del 1989 e studente di giurisprudenza, dice di “avere la coscienza a posto, di sentirsi tranquillo”. Una dichiarazione sicura, forse troppo. Potrebbe essersi dimenticato di ripassare il codice penale. Infatti, come ci spiega l’avvocato Pesciarelli, “le foto e video contenuti nell’archivio denominato “bibbia 3.0" (ma anche le versioni precedenti) sono tutte situazioni irrispettose dell’articolo 600ter del codice penale”. E qusto è quello cui potrebbero andare incontro gli autori del file originale caricato in dropbox. Per quanto riguarda, invece, “la persona che ha caricato i file sul Google Drive", scaricandoli dall'originale e rendendoli disponibili su un altro sistema di archiviazione, "rischia una pena da 1 a 5 anni e una multa da 2500 euro a 25 mila”.

Questo ragazzo (che ilGiornale.it è riuscito a contattare e che ha ammesso di aver creato l'archivio in Drive) anche se afferma di aver commesso "una leggerezza", nel "non controllare cosa ci fosse nel file" ha agito come "una cassa di risonanza favorendone la divulgazione”. “Questa - continua l'avv. Pesciarelli - è una condotta sanzionata dall’articolo 600ter del codice penale. Per chi fruisce e scarica l’archivio digitale della ‘bibbia’ rischia una condanna di 3 anni per detenzione di materiale pornografico (600quater c.p.)". Ma non solo.

"La divulgazione di questi file - aggiunge il penalista - integra anche la diffamazione. Tra l’altro aggravata dall’utilizzo per mezzo telematico, poichè è un’offesa all’onore e all’integrità della persona (595 c.p.).”.

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