Quello che è successo ieri, l’assalto ai treni e alle autostrade, la fuga da Milano, aiutata dalla disastrosa comunicazione di un decreto, è comprensibile, ma ingiusto. Da questa guerra si esce solo bloccando il contagio. E lo si può fare solo evitando di muoversi. Toni Capuozzo continua il suo diario giornaliero da una Milano capitale del coronavirus. Scrive come ormai ogni giorno il suo post su Facebook.
Un consiglio di famiglia - una famiglia in cui lui è il fragile, perché immunodepresso e vecchio - gli ha affettuosamente suggerito di andarsene, perché, non è di grande aiuto e può diventare un peso. Lo hanno aiutato a prenotare un’auto per tornarmene nel suo Friuli, contando sul fatto che un tesserino di giornalista e una lunga storia di posti di blocco evitati lo avrebbe aiutato a farlo. "Sono andato all’autonoleggio, e l’impiegata mi ha raccontato dell’assalto della notte. Ho pensato a un incontro che non ho visto, domenica mattina, nel territorio neutro dell’Idroscalo, tra la mia nipotina e suo papà: credo che lei non lo vedesse da una settimana, o più: è medico in terapia intensiva".
Si sono guardati da lontano, senza sfiorarsi. "Mia figlia mi ha detto che forse è meglio se davanti alla bambina ci mettiamo tutti le mascherine, così si abitua, e non trova troppo strano quel padre, quando potrà rivederlo. Ho pensato di non essere io quello fragile, e ho deciso di restare. Ho noleggiato l’auto, per sentirmi libero di farlo in qualunque momento, e per girare come con uno scafandro la città che non avevo mai sentito così mia fino a quel momento".
Ha posteggiato sotto casa, Capuozzo. Sperando che i vigili abbiano altro cui pensare. C’è abituato: è una piccola Sarajevo senza gloria, questa, è solo un posto dove le ambulanze non arrivano più sotto casa in quindici minuti ma in più di un’ora: hanno troppo da fare. Capuozzo ha una piccola, balzana proposta da fare al sindaco Sala. Il prossimo 7 dicembre riunisca tutta la città a San Siro o in un posto più grande. “Siamo gente che non ha ascoltato i nostri vecchi, che non sa che cos’è una guerra, e forse per questo immaginava fuggito da una guerra chiunque cercasse solo un futuro migliore. Siamo gente che ha pensato di essere street fighter con un tatuaggio, o una rissa in discoteca. Siamo gente che non poteva non essere promossa e non poteva fare compiti troppo gravosi. Siamo gente che predica la solidarietà e accumula seconde case, che ama la globalizzazione e paga un filippino che gli pulisca casa. Diciamo prima gli italiani, ma intendiamo dire prima noi stessi. Scambiamo le appartenenze politiche per ideali, e le liti da reality per passioni: ci colleghiamo con la Casa, quanti milanesi se ne sono andati? Siamo gente che pensa che resistere sia far finta di niente, aperitivi o mostre”.
E dunque il sindaco Sala dovrebbe, il prossimo Sant’Ambrogio, dare un simbolico ambrogino. Di latta o di bronzo, a tutti quelli restati, per amore, per forza, per dovere, per pigrizia, perché non avevano dove andare, perché non hanno avuto il tempo di decidere. "È ovvio, prima i medici e gli infermieri, gente cui abbiamo lasciato il terribile compito di decidere chi salvare e chi non ce la facciamo. Poi gli altri, tutti quelli restati in una città senza rumore, come se avesse messo le pantofole dei vecchi, addio a scarpe da jogging e tacchi, suole da manager o anfibi da rapper. Tutti quelli che non sapevano dove andare, e sono andati a dormire. Tutti quelli che avranno superato un virus che in fondo era poco più di un’influenza. Tutte le mamme e i papà, e i single. Tutti gli anziani, e specie quelli soli, e specie quelli che sanno che troveranno il tutto occupato in sala di terapia, non si prenota come usava nei ristoranti ora vuoti e chiusi. Premiati con quella onorificenza che io ho ricevuto e non è bastata a farmi sentire milanese, allora".
Dovrebbero essere premiati non perché abbiano fatto qualcosa di speciale. Solo perché non hanno fatto associare, in giro per l’Italia, la parola "milanese" al sospetto, al fastidio, alla preoccupazione, al ganassa invadente. "Ieri mattina sull’Idroscalo splendeva un sole prepotente, incurante degli umori.
Da Linate, lì a fianco, decollava un aereo all’ora, o meno. Il cielo era lucido, e la trasparenza rivelava l’arco delle montagne. È un paradosso struggente che nella Milano con l’aria migliorata si possa morire perché manca l’ossigeno".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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