La scorsa settimana Giorgia Meloni ci ha provato più di una volta. Ma Matteo Salvini ha preferito svicolare a telefonate e messaggi, deciso ad organizzare la manifestazione del 19 ottobre in piazza San Giovanni a Roma in perfetta solitudine. Non ci sarà, dunque, nessuna condivisione o pianificazione comune, come avrebbe potuto essere e come avrebbe voluto la leader di Fratelli d'Italia che, nei giorni scorsi, aveva fatto notare a Salvini quanto sia difficile riempire uno spazio così ampio come l'area del concertone del primo maggio («servono almeno 60-70mila persone reali, altrimenti - è stato il suo avvertimento - si rischia di dare l'impressione di una piazza mezza vuota»). L'ex ministro dell'Interno ha invece scelto di giocare in solitario e gestire l'evento in tutti i suoi aspetti (anche se proprio ieri a tarda sera pare che finalmente ci sia stato un primo contatto tra Lega e FdI per tentare almeno un minimo di coordinamento). Una scelta ponderata, quella del leader della Lega. Che sa bene quanto, soprattutto a Roma, FdI abbia capacità di mobilitazione, ma che vuole riprendersi la scena dopo essere stato lui costretto a rincorrere e partecipare alla manifestazione organizzata dalla Meloni davanti a Montecitorio il giorno della fiducia al Conte 2. Questo, ovviamente, non significa che a piazza San Giovanni sarà presente solo la Lega. FdI ci sarà comunque e la Meloni è previsto che parli dal palco (proprio come aveva fatto Salvini davanti alla Camera), mentre Forza Italia dovrebbe essere presente, ma non è certo che interverrà anche Silvio Berlusconi.
Ancora una volta, insomma, un centrodestra che si presenta se non diviso quantomeno sfilacciato tra tanti distinguo. Con la Lega che vorrebbe mettere la bandiera sulla piazza del 19 ottobre, FdI che non vuole dare l'impressione d'inseguire Salvini e Forza Italia divisa al suo interno tra sensibilità diverse. Un approccio confuso e che rischia di dare l'immagine di una coalizione conflittuale proprio in un momento in cui il tripolarismo che ha caratterizzato lo scenario politico degli ultimi anni sembra destinato a lasciare il passo di nuovo al bipolarismo. Un bipolarismo che ribalta completamente gli equilibri. Se, come sembra, M5s e Pd stanno convergendo verso un accordo di sistema, infatti, il centrodestra sarà competitivo solo se unito e compatto.
Basta dare uno sguardo all'elenco delle nove regioni che andranno al voto da qui alla prossima primavera (vedere il grafico qui sotto) per avere chiaro che l'asse tra grillini e dem rischia concretamente di compromettere vittorie del centrodestra che prima della nascita del Conte 2 erano date per scontate. Aggregando il dato delle ultime Europee e analizzandolo regione per regione, infatti, sulle nove che andranno alle urne solo il Veneto è saldamente in mano al centrodestra (62,7% contro il 32% della coalizione giallorossa). Si registra anche un discreto vantaggio in Umbria (51,3% contro 44,8), che però gli ultimi sondaggi non confermano. Per Ixè, infatti, Vincenzo Bianconi (M5s, Pd, Leu) e Donatella Tesei (Lega, Forza Italia, FdI) sarebbero sostanzialmente in pari: 29,7 contro 29,4. Il disastro vero, per il centrodestra, si rischia però in Campania, dove i dati aggregati delle Europee dicono che la coalizione giallorossa è al 57,9% contro il 38,8 di Lega, Forza Italia e FdI. E non vanno benissimo le cose neanche in Calabria (50,1% per l'asse M5s-Pd-Leu contro il 46,2 del centrodestra). Aperte, invece, le altre partite, compresa la Liguria di Giuseppe Toti che solo due mesi fa - quando M5s e Pd non erano alleati - con il 47,4% del centrodestra era praticamente certo della riconferma.
Discorso simile per la Toscana: il 42,3% di Lega, Forza Italia e FdI era davanti al 40,6% del centrosinistra. Che ora va però sommato al 12,6 del M5s per un totale di 53,2. Insomma, una possibile vittoria del centrodestra in una regione storicamente rossa oggi è diventata una probabile sconfitta.
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