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Conflitto d'interessi e memoria corta

Conflitto d'interessi e memoria corta

Ci sono due paroline che per anni sono state una vera e propria ossessione della sinistra italiana: conflitto d'interessi. Una clava utilizzata per un ventennio contro Silvio Berlusconi e le sue aziende. E ora che fine ha fatto? Il conflitto d'interessi è rispuntato come un fiume carsico nei 20 punti che Luigi Di Maio ha messo sul tavolo dei dem per dar vita al mostro giallorosso. Ma in realtà il Pd non ha mai mollato l'osso e anche all'inizio di questa legislatura è tornato a battere sul tema. Indovinate chi c'era questa volta nel mirino? Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau. Lo scorso maggio, durante una conferenza stampa, Graziano Delrio, Emanuele Fiano e Francesco Boccia presentano una proposta di legge sullo spinoso tema del conflitto d'interessi digitale.

Per i grillini è chiaramente una mossa per far fuori Casaleggio, ma i deputati dem argomentano in modo diverso: «È evidente il conflitto di interessi in cui si trova Casaleggio associati che controlla Rousseau e controlla mezzo Parlamento e più di mezzo governo. Sarebbe in conflitto di interessi e sarebbe anche sanzionabile - spiegava Boccia -. La nostra norma prevede che se le piattaforme appartengono a partiti politici devono essere open source e con algoritmi trasparenti. Il non rispetto di queste norme comporta l'ineleggibilità a meno che non si lasci la guida di queste società tre anni prima di candidarsi. È un conflitto di interessi macroscopico. Noi non ce l'abbiamo con Casaleggio. Faccia business oppure diventi capo politico e adotti una piattaforma open source». Inappuntabile.

Preciso. Solo

che adesso il Partito democratico ha un conflitto d'interessi proprio sul conflitto d'interessi. Perché sarà proprio Rousseau a decidere se il matrimonio giallorosso s'ha da fare e, quindi, se i dem torneranno ancora una volta al governo senza passare dalle urne.

Dalle urne reali, ovviamente, perché adesso quelle virtuali, opache e taroccabilissime di Rousseau vanno benissimo.

Non si sono levate grida di protesta da parte della sinistra contro questa prassi quantomeno anomala: il Presidente della Repubblica, il destino del governo e della cosa pubblica sono appesi a una votazione su una piattaforma privata, gestita unilateralmente dal padre padrone di uno dei partiti in gioco e, per giunta, già sanzionata dal Garante per la privacy. Praticamente un Far West, un sistema talmente oscuro da far passare per specchiate le famose primarie del Pd nelle quali votavano anche i morti e frotte di cinesi ingaggiati alla bisogna. E al Nazareno cosa dicono? Tutti zitti. Non si sa mai che perdano l'occasione di arraffare qualche poltrona.

Le vestali della Costituzione dormono sonni profondi, non è tempo di girotondi in nome della democrazia.

E anche i grillini possono stare sereni: difficilmente il Pd riaprirà il caso. Il conflitto d'interessi ora è sparito, non esiste più.

Adesso anche il Pd si è inginocchiato alla democrazia (etero)diretta di Grillo e Casaleggio.

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