Cronache

Così le baby gang di rom spadroneggiano sulla metro di Roma

Chi non ha mai preso la metropolitana di Roma non può comprendere le proporzioni del fenomeno. Carrozze e banchine pullulano di borseggiatrici rom che agiscono indisturbate

Così le baby gang di rom spadroneggiano sulla metro di Roma

La fermata della metro Barberini l’avevamo lasciata così, con un nodo alla gola. No, non si trattava di claustrofobia: a toglierci il fiato erano le ecchimosi bluastre attorno agli occhi chiari della signora Maria Assunta. Aggredita, prima a colpi di cellulare in faccia e poi a calci, da una rom di soli nove anni. Una delle tante borseggiatrici che, in gruppo, rastrellano le carrozze della famigerata linea A saltando giù e risalendo, di fermata in fermata, fino a scalare il convoglio da cima a fondo.

Chi non ha mai preso la metropolitana di Roma non può comprendere le proporzioni del fenomeno. Chi invece la conosce si divide in due categorie: quelli che rinunciano e quelli che hanno imparato a guardarsi le spalle. Le donne stringono a sé le borse come fossero neonati e gli uomini tengono le mani in tasca per assicurare il portafoglio. Federica, ad esempio, sa perfettamente quando è non è il caso di proseguire. Mentre viaggiava in direzione Termini “cinque zingare” sono salite sul suo vagone e l’hanno accerchiata. Le è bastata una frazione di secondo per capire cosa stava accadendo e, prima che le porte chiudessero, è sgattaiolata fuori. “Ho preferito scendere dal vagone ed andare a piedi che rischiare d’esser borseggiata”. Poi ci sono i turisti con la loro ingenuità: per un forestiero l’impatto con il trasporto pubblico della Capitale non può che esser traumatico. E gli anticorpi non sono mai sufficienti anche perché non c’è capitale europea in grado di strapparle la maglia nera di dosso. Non bastano nemmeno i tutorial e le raccomandazioni dei travel blogger, né la segnaletica che – in più lingue – ricorda: “Attenzione ai borseggiatori”.

Una volta scese le scale è fatta. Il percorso discendente, nota metafora per descrivere l’inferno, conduce infatti in una dimensione parallela. Dove lo Stato si vede, ma non c’è. Affollato di uomini in divisa – c’è l’esercito, la security e il personale Atac – che s’atteggiano a sagome di cartapesta e, a richiesta, dispensano qualche prezioso suggerimento. “Dovete stare attenti”. Uno di loro ci dice: “Se le nomadi hanno il biglietto non possiamo impedirgli di entrare”. Capito come? Le bande di borseggiatrici le vedi, impossibile non riconoscerle: sono tutte minorenni, sguaiate ed accessoriate di scialle e grandi borse. È come se andassero in giro con delle insegne luminescenti sulla testa: “Eccoci siamo qui per rubare” eppure un investimento di un euro e cinquanta (tanto costa il ticket) basta a sgombrargli il passaggio. A fronte di un guadagno giornaliero che frutta, in media, circa 600 euro. Un business redditizio e inarrestabile.

“Non possiamo intervenire, abbiamo le mani legate”. Questo è il solito refrain. Ce lo dice la security, lo conferma il personale militare ed i dipendenti Atac alzano le spalle. Qui nessuno può far nulla, se non stare a guardare. “Le monitoriamo – spiega un agente privato – ma se non le cogliamo con le mani nel sacco non possiamo intervenire”. Insomma bisogna aspettare che il danno sia fatto e, solo allora, se le baby criminali vengono sorprese con il portafogli di qualcuno in mano (cosa che non accade praticamente mai, data la velocità con cui si passano la refurtiva) allora la polizia può intervenire. Ed anche lì ci sarebbe da aprire un capitolo.

A proposito di Maria Assunta, per esempio, la rom di nove anni che l’ha aggredita è già tornata a lavoro e alla stazione Barberini l’hanno riconosciuta tutti. Il nostro ordinamento giuridico, infatti, stabilisce l’esclusione piena e assoluta dell’imputabilità per il minore infraquattrordicenne che, a prescindere dal reato, non può essere giudicato e punito. Così la rom era stata affidata ad un centro di accoglienza per minori dal quale è scappata a tempo di record. E poi ad una settimana di distanza dall’aggressione era di nuovo lì. Dove siamo passati anche noi oggi: sulla linea A, fermata Barberini, una delle più pericolose. La banchina pullula di ragazzine acerbe in “tenuta da borseggio”, la maggior parte – come ha ricostruito Il Messaggero – provengono dal campo nomadi di Castel Romano. E è lì che tornano ogni qual volta fuggono dalle strutture a cui vengono assegnate. La metro parte, assieme a loro che si sono infilate a forza in una carrozza stracolma. Poi un rumore. Qualcuno accanto a noi si lamenta. “Mi hanno rubato il portafogli, c’era dentro anche la pensione”.

Stavolta si tratta di un signore romano sulla cinquantina, non certo uno sprovveduto, che scandisce una cantilena: “Che fesso, che fesso…”.

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