Covid, il test che infetta volontariamente la gente

Il Royal Free Hospital di Londra ha infettato alcune decine di volontari con il Covid-19 per studiare meglio le caratteristiche dell'infezione: tra favorevoli e critici, ecco i primi risultati della sperimentazione

Covid, il test che infetta volontariamente la gente

Il numero è ancora basso ma il progetto è appena all'inizio: in Regno Unito, 36 persone si sono fatte infettare volontariamente con il Covid-19 per dare la possibilità a medici ed esperti di studiare meglio le caratteristiche del virus e come si diffonde tra la popolazione.

Com'è avvenuto il "contagio comandato"

Il progetto è stato organizzato dal Royal Free Hospital di Londra e potrebbe indurre altri centri di ricerca ad avviare studi analoghi. I primi dati ufficiali saranno resi noti tra pochi giorni ma circolano già le prime anticipazioni dal responsabile del progetto della società hVIVO, Andrew Catchpole, specializzata nei test di questo tipo. "Finora tutto si è svolto senza imprevisti" ha affermato, specificando che i volontari infettati hanno sviluppato sintomi lievi e senza che emergessero complicazioni. Catchpole è rimasto molto colpito dal decorso dell’infezione con molti elementi in comune tra diversi volontari. Ogni individuo è stato infettato facendogli inalare una soluzione contenente particelle virali del coronavirus: i partecipanti hanno poi trascorso un periodo in ospedale nell'attesa che diventassero contagiosi e che eventualmente sviluppassero sintomi. In questa e nelle fasi successive dopo le dimissioni, sono stati seguiti da medici e ricercatori per valutare le evoluzioni dell’infezione e se ci fossero esiti non previsti a distanza di tempo.

Cos'è l'Hct

I test clinici con l'impiego di agenti infettivi (come batteri o virus) direttamente su volontari umani ha un nome ben specifico: Hct, da human challenge trial (letteralmente studio di infezione umana controllata), è un tipo di sperimentazione clinica per un vaccino o un altro farmaco che comporta l'esposizione intenzionale del soggetto alla condizione testata. Non si tratta affatto di una novità assoluta: come si legge sul Post, alla fine del Settecento, il medico britannico Edward Jenner (considerato l’inventore dei vaccini) infettò un bambino di 8 anni per verificare l’efficacia della sua soluzione contro il vaiolo, che un paio di secoli dopo avrebbe permesso di eradicare la malattia e di salvare milioni di vite.

Senza andare troppo indietro, nel '900 gli Hct sono stati impiegati per valutare le capacità di numerosi vaccini ma quasi sempre per malattie che si era ormai imparato a trattare con efficacia, quindi con bassi rischi per gli individui che venivano infettati. Per il Covid-19, però, una cura ancora non esiste e i trattamenti disponibili non sono sempre adeguati anche se in un anno e mezzo di pandemia sono stati fatti alcuni progressi. Da qui i dubbi sull’opportunità di infettare persone sane con il virus, visto il rischio di conseguenze gravi per la salute compresa la morte.

Gli obiettivi della sperimentazione

I ricercatori hanno visto che la diffusione di particelle virali, quelle che diventano cioé contagiose per gli altri, inizia solitamente entro quattro giorni dall’inizio dell’infezione e aumenta velocemente. Questo test, però, è stato effettuato non con la variante Delta, la più contagiosa e pericolosa, ma con le prime "versioni" del virus emerse nel 2020 quando prese il via la pandemia. La sperimentazione ha l’obiettivo di verificare quanto tempo sia necessario, in media, per rilevare un’infezione in corso attraverso i test disponibili come gli antigenici e i molecolari. Anche se il loro impiego ormai è all'ordine del giorno, rimane molto difficile fare stime accurate sui tempi nel mondo reale, dove ci sono più variabili da tenere in considerazione.

Inoltre, la sperimentazione è stata condotta per analizzare i luoghi in cui vivono le persone infette, valutare quante particelle virali si depositano effettivamente sulle superfici e con quali fattori di rischio, così da capire meglio gli effetti del Covid-19 sul nostro organismo. Oltre alla risposta immunitaria e ai tempi di reazione delle nostre difese, i ricercatori intendono valutare quali siano le conseguenze neurologiche del Coronavirus e il loro legame con il “Long Covid”, cioé la durata di sintomi come stanchezza e mal di testa (i più frequenti ma non gli unici) anche a mesi di distanza dalla guarigione per cercare di capire gli effetti nel medio-lungo termine della malattia.

Le critiche

Gli studi sulle "sfide umane", però, spesso diventano eticamente controversi perché comportano l'esposizione dei soggetti del test ai pericoli che la malattia di un virus può provocare. Questa sperimentazione, infatti, ha ricevuto diverse critiche accusata di essere "rischiosa ed eticamente discutibile". Già in piena prima ondata pandemica, con migliaia di morti al giorno, alcuni gruppi di ricercatori avevano sottoscritto richieste per chiedere a governi ed istituti di ricerca di organizzare test su gruppi di volontari sani da infettare con il coronavirus. I sostenitori degli Hct ritengono, invece, che l’iniziativa del Royal Free Hospital sia importante per approfondire le conoscenze sul Covid anche in vista dello sviluppo di nuovi vaccini, compresi quelli che potrebbero funzionare contro più tipi di coronavirus. La loro difesa risiede nel fatto che i rischi per i volontari rimangono contenuti perché l’infezione è stata indotta utilizzando quantità limitate di coronavirus.

Sarebbe interessante domandare alla gente: ipotizzando di far parte di

una sperimentazione, se si dovesse scegliere, è preferibile farsi infettare volontariamente o partecipare ai trials clinici di un nuovo vaccino? Le risposte, probabilmente, non sarebbero poi così scontate.

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