La Croce Rossa gioca al profugo: così educa i giovani al buonismo

L'iniziativa dell'associazione a Medesano (Parma). Il viaggio dei migranti diventa una messinscena: noi abbiamo giocato

Screenshot video Croce Rossa da youtube
Screenshot video Croce Rossa da youtube

Mentre noi iniziamo il nostro (finto) viaggio dalla Somalia all’Europa un gruppo di migranti (veri) percorre la salita che porta alla piccola frazione di Roccalanzona. Alcuni conducono la bicicletta a mano, altri a petto nudo camminano e ci osservano disorientati. Noi siamo richiedenti asilo per gioco, loro davvero. E chissà cosa avrebbero detto se avessero saputo che quel gruppetto di ragazzi con lo zaino in spalla, tutti tra i 18 e i 30 anni, stava scimmiottando il loro lungo viaggio che dall’Africa li ha portati in provincia di Parma.

Provate ad immaginare la scena. Mentre sfilo di fianco all'immigrato indosso una specie chador in testa. Sono una donna (nonostante la mia genetica dica l’opposto), ho 35 anni e fuggo dalla Somalia. Siamo profughi, sono un profugo. O almeno questo è il ruolo che mi è stato assegnato in questo "gioco del migrante", attività pensata dalla Croce Rossa per far immedesimare i partecipanti nelle vesti dei richiedenti asilo.

Il motivo? Sempre il solito ritornello. "Il gioco di ruolo Youth On The Run - si legge nel sito - è stato ideato nei primi anni '90 dall'insegnante danese Steen Cnops Rasmussen, preoccupato dai sentimenti di intolleranza e razzismo dei propri studenti nei confronti di rifugiati e persone migranti". E ovviamente, visto che anche "l’Italia ha bisogno di combattere il razzismo" e "contrastare la xenofobia", la CRI ha ben pensato di importalo pure nel Belpaese. Come a esorcizzare l'eterno senso di colpa occidentale.

L’iniziativa in Italia è sbarcata (è proprio il caso di dirlo) nel 2011. Ai finti migranti viene attribuita una nuova identità, una famiglia e uno scopo: raggiungere l’Europa. Non si vince nulla: l’unico obiettivo è quello di riuscire a passare le frontiere che dividono la Somalia dall’Italia, confrontandosi con la burocrazia, i controlli dei confini, le difficoltà del viaggio e l’angoscia dell’incertezza. Non possiamo aggiungere altro perché la Croce Rossa, così come agli altri partecipanti, ci ha fatto firmare un "contratto di riservatezza" nel "rispetto dell'attività che è coperta da copyright in quanto marchio riservato". Sta bene.

In realtà non c'è nulla di diverso da quanto ilGiornale.it aveva raccontato osservando dall'esterno un'attività identica organizzata in Norvegia (leggi qui). Noi il gioco lo abbiamo provato dal vivo, ci siamo immedesimati nel personaggio e siamo stati alle regole. A conti fatti risulta in parte realistico (anche se di somali in Italia ne arrivano pochi), ma molti passaggi appaiono esagerati. Soprattutto sull'attesa per la verifica della domanda di asilo, sulle battute razziste degli agenti italiani e sui migranti messi faccia al muro dala polizia nostrana. Fatto mai visto.

In fondo la Croce Rossa non è nuova a iniziative nei confronti degli immigrati. Gestisce centri di prima e seconda accoglienza, fornisce consulenza giuridico-legale e via dicendo. Non mancarono polemiche quando Gino Strada accusò Moas (una delle Ong nel Mediterraneo) di aver "sfrattato" Emergency per "accaparrarsi i 400mila euro della Croce Rossa" che imbarcò personale medico e sanitario a bordo della Phoenix.

Resta una domanda: Youth on the run permette davvero di facilitare "l'empatia" con i "processi psichici dei migranti"? Dipende dai singoli, certo (qualcuno ha abbandonato per troppa sofferenza). Ma non è così scontato. Molti dei partecipanti infatti hanno passato l'intera giornata tra risate, scherzi e battute. Tra loro studenti di diritti umani e cooperazione internazionale (o simili), giovani impegnati nel sociale, volontari nei centri profughi o impiegati nelle cooperative dell'accoglienza. Insomma: gente con una precisa idea in merito all'immigrazione.

E infatti il gioco scorda del tutto l'altra faccia del movimento migratorio: dimenticate le spese sostenute dallo Stato, glissate le difficoltà che vivono le periferie o il "business degli immigrati" (Augusta Montaruli dixit) e non affrontata le legittime pretese di uno Paese a regolare gli afflussi di migranti.

Peccato: perché le migrazioni sono una cosa seria, non un allegro role play. Che così rischia di risultare buonista e pure banalizzante di un evento sociale epocale. Avreste mai realizzato un gioco sulla tragedia di Genova?

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