Il cuore di amianto del manager senza pietà

Il cuore di amianto del manager senza pietà

«Mi sono reso conto di provare dentro di me un odio per gli italiani». E come biasimarlo Stephan Schmidheiny, magnate belga dell'amianto, rinviato a giudizio ieri con l'accusa pesantissima: omicidio volontario. Nella sua coscienza ci sono 392 persone, cittadini di Casale Monferrato, decedute per le conseguenze dell'esposizione all'amianto tra il 1989 e gli anni Duemila. Di imprenditori che non vogliono pagare il prezzo della loro spregiudicatezza sono piene le cronache giudiziarie ma le parole di Schmidheiny alla testata svizzera Nzz am Sonntag sono violentissime: «Quando oggi penso all'Italia provo solo compassione per chi è costretto a vivere in questo Stato fallito. E un giorno verrò assolto». Purtroppo per lui le sue responsabilità sono già emerse nel primo processo, quando è stato condannato in Corte d'Appello a 18 anni di carcere per disastro colposo. Reato che poi si è prescritto. Ecco perché i pm che lo hanno riportato alla sbarra hanno cambiato tipologia di reato: non più disastro colposo ma omicidio doloso aggravato. Secondo i pm le mani di Schmidheiny sono sporche del sangue di almeno 258 persone, tra ex lavoratori e residenti morti di mesotelioma pleurico causato dall'amianto. Vittime della «tortura d'impresa» (parole del magistrato) ordite dal manager. Il mesotelioma è una malattia che ha una incubazione lentissima, e questo spiega perché solo oggi, a distanza di più di trent'anni, si sta cercando di avere giustizia. Ma solo in parte. Perché è maledettamente vero che - anche se si è colpevoli - non è da Paese civile aspettare tutti questi anni per capire se si andrà in galera oppure no. Soprattutto se si pensa che, con la sospensione della prescrizione voluta dall'ala più manettara del governo, quella che pensa che «non ci siano innocenti in galera (sic!)» per dirla con le parole del Guardasigilli Alfonso Bonafede il «fine processo mai» è una prospettiva che spaventa chiunque.

Anche se la giustizia italiana in passato si è già esibita in sentenze paradossali è difficile che Schmidheiny sfugga al suo destino, ed è questo che lo spaventa. Non certo le 400 croci, non certo la sofferenza dei parenti, loro sì condannati al «fine pena mai». Parafrasando Manzoni «la coscienza, uno, se non ce l'ha, mica se la può dare».

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