La dittatura dei ras di Palazzo

Distratto il Paese con la telenovela sulle unioni civili, la politica, senza pubblicità, lavora per la politica

La dittatura dei ras di Palazzo

Distratto il Paese con la telenovela sulle unioni civili, la politica, senza pubblicità, lavora per la politica. Fuori chi ha un'impresa, un'attività, un lavoro autonomo, chi non vive di poltrone e partiti. La politica è un affare per i politici di professione, quelli nati portaborse, quelli che non hanno mai avuto altro da fare, i signori delle tessere e delle clientele, i notabili di provincia che ancora promettono posti di lavoro in cambio di un pacchetto di voti, i signori delle preferenze.

In Parlamento ci si accapiglia per una legge sul conflitto di interessi che dovrebbe risolvere tutte le questioni di trasparenza e portafogli personali, ma è solo l'ultima grande ipocrisia. In realtà governanti e parlamentari, nazionali e regionali, non si mettono a nudo, ma si richiudono a riccio, a casta, tagliando fuori gli atipici, tutti quelli che non appartengono alla politica dei politicanti. Dicono: così avremo solo gente che pensa al bene pubblico. Certo, c'è da crederci. Come se un politico di professione non avesse cura dei suoi lobbisti e delle proprie clientele. È un tentativo dall'alto di correggere la democrazia, lasciando fuori quella società civile che non scende in piazza, ma lavora individualmente per il futuro dell'Italia. Torna, di fatto, il vecchio pregiudizio verso l'imprenditore, che non può fare politica perché macchiato dall'unica colpa che gli italiani non sanno perdonare: avere successo. La politica è per i politicanti, i sindacalisti e i magistrati. Tutti gli altri non odorano di statalismo, dunque sono pericoli pubblici. È la frottola del politico puro che ha le stimmate della santità.

È un ritorno alla Prima Repubblica, è la beatificazione dei Gava e dei Colombo. È la riabilitazione degli Alfredino Vito, mister 100mila preferenze. È la scuola rossa delle Frattocchie e il partitone novecentesco. È la politica come posto fisso, con il corso d'onore segnato dai passi del capobastone e se si cade c'è sempre un parastato o una rete Rai dove svernare in attesa della pensione. Il Parlamento come agenzia di collocamento per professionisti della politica e nullatenenti. È questo allora il pericolo: che, sotto la bandiera etica del conflitto di interessi, ci sia un mondo da vent'anni e passa in attesa di ritrovare il proprio posto nella pancia del Paese. Fare i conti con Berlusconi, cancellare la sua anomalia. Berlusconi che ha rinfacciato ai politici tradizionali di non saper fare altro, di non aver mai dimostrato il proprio valore nella vita di tutti i giorni, di non aver mai lavorato, di essere un club di scansafatiche. C'è anche questo nel sottopancia della legge sul conflitto di interessi. Una sorta di vendetta del Palazzo contro l'uomo di Arcore.

Non solo non ci dovrà mai più essere un Berlusconi, ma non bisogna neppure permettere ai divergenti di contaminare la politica con il mondo delle imprese. L'obiettivo è ricreare quella frontiera, quel muro che ancora resiste nelle accademie universitarie. Sono i baroni a scegliere i propri feudatari e non c'è spazio per chi viene da un altro mondo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica