Guerra in Ucraina

Un domani di guerra

A volte la Storia scivola su un piano inclinato per cui inavvertitamente gli eventi producono la condizione che tutti, almeno sulla carta, avrebbero voluto evitare

Un domani di guerra

A volte la Storia scivola su un piano inclinato per cui inavvertitamente gli eventi producono la condizione che tutti, almeno sulla carta, avrebbero voluto evitare. È quello che sta accadendo nel conflitto ucraino. I terribili eccidi di Bucha, le fosse comuni, i civili passati per le armi, hanno creato uno spartiacque che non lascia spazio a compromessi: la crudeltà, il crimine e l'assassinio tracciano una linea chiara tra il Bene e il Male. Lo stesso vale per la strategia di Putin sul terreno di battaglia. Lo Zar era partito rivendicando la Crimea e il Donbass e, invece, ora si è scoperto che punta a dividere l'Ucraina in due: quella di Zelensky e una filorussa.

E, poi, c'è la politica estera del Cremlino che ambisce a mettere in piedi una sorta di «quinta Internazionale« (per prendere a modello gli schemi organizzativi dell'Unione Sovietica), cioè una ragnatela di relazioni tra nazioni amiche della Russia unite dal desiderio di creare un nuovo equilibrio mondiale. È lo scopo dichiarato dell'attivismo del ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, l'obiettivo che lo ha portato prima in Cina e poi in India; o delle attestazioni di stima di Putin verso il premier ungherese Orbàn o del serbo Vucic, che hanno vinto le elezioni nei loro Paesi non nascondendo la simpatia che nutrono verso l'inquilino del Cremlino. Come pure è il nuovo equilibrio, e ciò che ne discende, che spinge i leader di Stati Uniti e Gran Bretagna ad essere intransigenti con la Russia e ad appoggiare senza riserve l'Ucraina: la terra dei cosacchi, infatti, è diventata suo malgrado il terreno di battaglia dove le democrazie dell'Occidente tentano di fermare il proprio declino e di rimuovere la sconfitta afghana, mentre le autocrazie orientali cercano di renderlo irreversibile.

Se questi sono i dati dello scontro e se questa è la posta in gioco, c'è il rischio che all'orizzonte si prepari davvero un domani di guerra. C'è il pericolo per l'incapacità di individuare una mediazione, complici gli interessi in campo, che il conflitto diventi permanente, condotto da entrambi i contendenti nella speranza di prevalere l'uno sull'altro. Un equilibrio, appunto, di guerra che sbuca fuori dal ricordo di un tragico passato di cui le immagini di Bucha offrono una testimonianza nel presente. Ma è possibile immaginare un futuro diverso? Al momento è davvero complicato anche per colpa del Vecchio Continente, dell'Europa che si è presentata all'appuntamento con la Storia impreparata e in ritardo. La fine dell'Urss avrebbe dovuto accelerare il processo di integrazione, avremmo già dovuto avere un esercito europeo e una politica estera comune. E invece ci si è cullati, di fronte alla sconfitta del comunismo e alla fine dell'equilibrio di Yalta, nell'idea che la pace fosse ineluttabile, una condizione acquisita e non da conquistare giorno per giorno. E ora che i fantasmi del '900 tornano sotto altre sembianze e altri nomi, la Ue si scopre - se non inerme - non all'altezza, in balia di altri (si tratti di energia o di armi). E divisa: l'atteggiamento di Orbàn; il «no» della Germania all'embargo sul gas russo anche di fronte ai morti di Bucha.

Sulla carta l'Europa è una potenza, nella realtà è l'immagine dell'impotenza.

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