Ecco il moralismo di Stato: divieti su fumo e Coca Cola

Il diktat dei proibizionisti: alle industrie del tabacco vietato parlare con i governi E il sindaco di New York mette fuorilegge le bibite maxi. Torna il puritanesimo

Ecco il moralismo di Stato: divieti su fumo e Coca Cola

Non se ne può più. Ormai il moralismo di Stato sta ve­ramente perdendo ogni senso della misura. Prima l’an­nuncio del ministero della Sanità di una tassa di 3 centesimi sulle be­vande gassate, ieri la decisione del sindaco di New York di vietare le confezioni extra large di Coca Cola. E ora riparte la guerra ai fu­matori, che insieme agli automo­bilisti è ormai una delle categorie più vessate da questo Stato inva­dente, irrispettoso e impiccione.

Non ho mai fumato e, per quel poco che ne capisco, ritengo che le sigarette facciano male alla salu­te. Si tratta però di una questione che riguarda ognuno di noi in scel­te del tutto personali. Tra le tante declinazioni della libertà, c’è an­che quella di fumare, giocare al ca­sinò, condurre una vita sessual­mente sregolata, scalare le vette e praticare altre attività variamente pericolose, ma che non mettono a rischio la vita altrui.

Questo mi pare il punto crucia­le: nei Paesi liberi il diritto è lì a im­pedire ch­e le mie attività non inva­dano la sfera altrui ( la vita e la pro­prietà degli altri uomini), mentre nei Paesi illiberali il potere utiliz­za la legislazione per indirizzare i comportamenti verso questo o quell’obiettivo, impedendoci di esistere in senso pieno.

Finché la battaglia è culturale non c’è nulla da dire. Non mi crea alcun problema il fatto che i saluti­sti di mezzo mondo ieri abbiano festeggiato il «No Tobacco Day», un po’ come nel passato taluni pre­dicatori evangelici si lanciavano in campagne contro l’alcool o la prostituzione. Questo va bene: ognuno ha il diritto di dire quello che pensa e diffondere gli stili comportamentali che più ritiene appropriati. Ma oggi il puritanesi­mo dominante non si limita a ciò. Il tema della campagna 2012 contro il fumo, infatti, punta a im­pedire ogni manipolazione della legislazione da parte dell’indu­stria del tabacco e il legislatore. La cosa è comprensibile, ma vale per ogni ambito: anche nelle relazio­ni, ad esempio, tra politici e sinda­cati. È giusto che gli interessi di parte non prevalgano sul diritto. Il problema è che partendo da qui si vorrebbe impedire alle aziende del tabacco di avere ogni contatto con le amministrazioni e la politi­ca: come se, in questo o in altri am­biti, si potesse agire con compe­tenza senza avvalersi delle infor­mazioni di chi opera nel settore.

Non bastasse tutto ciò, i taleba­ni in guerra con il tabacco vorreb­bero imporre nuove regole sulle confezioni. Non contenti di averci funestato la vita con un package che ricorda, con una volgarità in­sopportabile, ogni possibile ma­lattia che può venire dal fumo, ora si vorrebbe introdurre un pacchet­to uguale per tutte le marche, in­sieme alla proibizione di esporre le sigarette nelle tabaccherie. Sia­mo ormai al fanatismo e al venir meno di ogni rispetto per la liber­tà altrui.

Questo è il punto. Fumare può anche essere un comportamento poco opportuno, ma è una scelta che va lasciata al singolo. La gran­de tradizione morale dell’Occi­dente ha sempre distinto tra i vizi (legittimi) e i reati (illegittimi, per­ché aggressivi). Trasformare i vizi in reati significa fare degli esseri umani una mandria destinata a re­gimi di carattere orwelliano. È per questo che, da non fumatore, mol­ti anni fa ho accettato di aderire al­le iniziative contro lo Stato etico salutista condotte, con grande ver­ve e coraggio, da Gian Turci.

Non si tratta solo di rispettare la persona nei suoi diritti, Si tratta an­che di comprendere come la re­sponsabilità morale (verso sé, ver­so gli altri, verso la società nel suo insieme) può crescere solo in un contesto di libertà.

Non è un caso se i moralisti del fumo, del sesso o del cibo sono in linea di massima sempre pronti a introdurre gabel­le, imposte e prelievi a carico dei peccatori. Lo Stato che ci vuole im­pedire di fumare è lo stesso che ci colpisce nelle proprietà e nei dirit­ti fondamentali. Diciamogli di smettere.

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