Cronache

Ecco cosa non torna nell'inchiesta di Report

Dal business delle case farmaceutiche al caso Moderna e all'immunità di gregge non raggiunta: il servizio di Report fa acqua da tutte le parti. Il Prof. Di Perri ci ha aiutato a capire perché

Ecco cosa non torna nell'inchiesta di Report

La bufera sulla puntata di Report non accenna a placarsi: l'inchiesta condotta dallo staff di Sigfrido Ranucci presenta molte lacune in merito alla terza dose di vaccino anti-Covid, lacune che spesso e volentieri si sono trasformate in palesi inesattezze.

Gli errori di Report

Come abbiamo già trattato al Giornale.it, tutto parte dall'allusione di Ranucci. ”È ovvio che la terza dose è il business delle case farmaceutiche che spingono. L'Italia ha già approvato per il 2022 e stanziato due miliardi di euro per nuove dosi di vaccino", aggiungendo come le aziende produttrici preferiscano vendere le dosi ai Paesi occidentali piuttosto che vendere ai Paesi poveri. Insomma, le "imprecisioni" (per usare un eufemismo) sono palesi e sono già state denunciate sia dal mondo politico che da quello scientifico. Beatrice Mautino, biotecnologa e divulgatrice scientifica, sul proprio account Twitter non ha usato giri di parole, affermando come la prima lettera a Report l'avesse scritta nei primi anni duemila. "Ero una dottoranda e avevo visto un servizio che parlava di qualcosa che conoscevo e che era stato stravolto nel loro racconto. Da allora è capitato spesso. Lo chiamano giornalismo a tesi. Mi chiedo se sia giornalismo".

Le fa eco anche Dario Bressanini, chimico ed esperto divulgatore scientifico italiano, che attacca Report sottolineando come "chi non conosce l'argomento pensa che Report sia giornalismo. Chi conosce il tema capisce al volo che è una porcheria spacciata per Grande Inchiesta. Ormai l'ho fatto notare fin troppe volte che ormai basta, anche perché poi arrivano i fan con la bava alla bocca".

Cos'è che non torna

Tanti, troppi gli errori per una trasmissione che arriva a milioni di italiani ed alimenta la ristretta minoranza di scettici e no vax: terza dose "business"? Fino a prova contraria, il vaccino sta salvando le vite di milioni di persone ed ha ammazzato la circolazione del virus (benché tutt'ora presente), il richiamo è fondamentale perché dopo sei mesi gli anticorpi di qualsiasi vaccino cominciano a svanire; l'immunità di gregge, tirata in ballo da Ranucci come se non l'avessimo raggiunta: anche se Covid ancora è tra noi, con oltre l'80% di immunizzati ha ovviamente molta più difficoltà a trovare organismi da attaccare, prova ne è che gli ospedali rimangono con pochissime criticità. E poi il caso Moderna, diremmo più "finto" caso Moderna. Tutti questi temi li abbiamo affrontati con un esperto del settore.

Cosa dice l'esperto

In esclusiva per IlGiornale.it, abbiamo sentito il parere del Prof. Giovanni Di Perri, virologo e responsabile del Reparto di Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia di Torino. La frase di Ranucci sul business delle case farmaceutiche viene stroncata sul nascere dal buon senso di Di Perri. "È infelice sia come affermazione sia per l'effetto mediatico che ha generato. Se si dice che la terza dose sia il business delle case farmaceutiche è come dire che l'appetito è il business di chi fabbrica spaghetti. Da un punto di vista etico capisco che il profitto di una casa farmaceutica sia diverso da chi fabbrica cuscini a sfera ma un certo livello di ricerca e risultato avvengono soltanto se c'è una giusta funzione alle spalle. Dire che uno fa il suo lavoro perché vuole guadagnare è scontato, ognuno lavora perché deve mantenersi. Questo perché dire una frase del genere è abbastanza scontata ma fa un certo effetto", ci dice il professore.

Il caso della mezza dose di Moderna

L'inchiesta di Report, poi, si accanisce contro la terza dose di Moderna e l'errore compiuto nella somministrazione. In realtà, come ci spiega cronologicamente Di Perri, non c'è proprio nulla di cui lamentarsi. "Nella sostanza delle cose, il 25 ottobre l'Ema autorizza la terza dose di Moderna per i soggetti al di sopra dei 18 anni dicendo di somministrarla non prima di 6-8 mesi dalla seconda dose specificando di darne mezza, di dose. Il 28 ottobre Aifa recepisce, il 29 ottobre una circolare del Ministero dà indicazione del richiamo specificando che bisogna fare mezza dose, questi sono i fatti", afferma l'infettivologo. Il processo, quindi, nasce da quanto avrebbe detto nel mese di settembre Moderna parlando privatamente con Ema e Fda, e cioè la proposta dei richiamo con mezza dose "ma non era un'affermazione ufficiale - sottolinea Di Perri - Il nostro Ministero non poteva anticipare Ema per sentito dire perché poteva benissimo non essere accettato. Si è trattato di uno sviluppo coerente e regolare delle indicazioni, in armonia con quello che è il ruolo di questi organismi".

Cosa è successo, quindi? Finché non c'è stato un ordine di Ema, il 14 settembre la circolare del Ministero ha indicato la terza dose per i fragili non specificando quale vaccino fare. Il 27 settembre, poi, ha esteso anche a coloro hanno più di 80 anni e a chi risiede nelle Rsa. L'8 ottobre il Ministero estende la terza dose agli Over 60 ed operatori sanitari ma viene indicato solo il vaccino Pfizer. "Da quel momento, solo il 2,5% delle terze dosi in Italia è stata somministrata con una dose intera di Moderna. Ma a chi è andata? Giustamente, direi, ai fragili e a chi più di 80 anni, a persone che probabilmente è meglio dargliela la dose intera", ci dice Di Perri, a spegnere sul nascere ogni tentativo di speculazione inutile sul vaccino.

Differenza tra Pfizer e Moderna sulla terza dose

Perché, se si tratta di due vaccini ad Rna messaggero, l'indicazione per le terze dosi è diversa se si parla di Pfizer (dose intera) e Moderna (metà dose)? "Nella disanima dei rendimenti dei vaccini, è venuto fuori che in termini di protezione ma soprattutto presenza di anticorpi neutralizzanti, la protezione con Moderna duri un po' più a lungo. Se si va ad analizzare il contenuto dei vaccini, si vedrà che Moderna ha 100 microgrammi di Rna messaggero laddove Pfizer ne ha 30. Quindi, la sostanza in termini tecnici, potrebbe effettivamente risiedere in questo, c'è più Rna messaggero in Moderna e una maggiore produzione di proteine spike. È verosimile che sia così", afferma Di Perri.

Immunità di gregge: perché Report sbaglia (anche qui)

Ranucci, a inizio servizio, se l'è presa ironicamente anche con chi diceva che con l'80% avremmo raggiunto l'immunità di gregge: secondo il giornalista, invece, questa immunità non ci sarebbe. Nulla di più sbagliato, e la situazione pandemica in Italia lo dimostra ampiamente: adesso è scoperto soltanto il 15% della popolazione, il virus fatica a trovare "organismi liberi", la situazione ospedaliera è sotto controllo ed i nuovi casi giornalieri sono comunque pochi. "Sono perfettamente d'accordo - sottolinea Di Perri - il termine immunità di gregge fu definito per il vaccini anti-morbillo che ha una protezione praticamente assoluta e definitiva per tutta la vita. Qui abbiamo un vaccino che protegge leggermente meno e la cui protezione tende a ridursi nel tempo, è chiaro che stiamo ricorrendo alla terza dose per rinforzare gli effetti protettivi del vaccino. Però l'effetto gregge, ovvero la protezione degli altri in funzione della vaccinazione nostra, è già operante da mesi anche quando avevamo il 40% di soggetti vaccinati, c'era già un effetto gregge che riduceva la percentuale di soggetti infetti che finiva in ospedale", ci dice l'infettivologo.

In questo momento, se chiudiamo gli occhi e andiamo all'anno scorso, al 3 novembre, ci troviamo in una situazione completamente diversa: eravamo senza vaccini e l'arrivo indiscriminato di soggetti gravi in ospedale. "Adesso abbiamo tutto aperto (anche le discoteche), festeggiamo un aumento del Pil del 6%, mi pare che il vaccino stia funzionando e stia restituendo quel livello di vita che avevamo prima". Di Perri predica calma ma è ottimista per il prossimo futuro. "Non abbiamo finito, stiamo facendo la terza dose apposta, speriamo che abbia un effetto particolarmente incisivo nell'aumentare la protezione e possa avere anche un effetto più duraturo. Se vedremo che con tre dosi saremo protetti in maniera quasi totale dai casi gravi, sapremo cosa fare in futuro".

I danni di un servizio giornalistico carente

In conclusione, abbiamo chiesto al Prof. Di Perri cosa pensasse lui, da cittadino, sul servizio andato in onda l'altra sera. Anche in questa occasione, il virologo non usa giri di parole. "I fatti li abbiamo discussi e sezionati, dall'altra parte c'è la percezione: un servizio del genere, invece di dare fiducia sulla terza dose ed invitare i cittadini a vaccinarsi con la terza dose come un ulteriore rinforzo della loro protezione, l'impressione che dava era dispersiva, che ci fosse dietro il solito complotto, che è stato favorito il business delle case farmaceutiche e quant'altro.

Questo, onestamente, non è quello di cui abbiamo bisogno in questo momento, è esattamente l'opposto", conclude.

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