Cronache

Era un politico, ora è il medico che vaglia i miracoli a Lourdes

Primo italiano in 130 anni a capo del Bureau de constatations médicales. "La gente arriva da me non perché sta male, ma per dirmi che è guarita"

Era un politico, ora è il medico che vaglia i miracoli a Lourdes

Tutto ebbe inizio con Catherine Latapie, detta Chouat, 38 anni, una scontrosa e per nulla devota paesanotta di Loubajac, in Francia, risanata all’istante da una paralisi di tipo cubitale provocata dallo stiramento traumatico del plesso brachiale. Una voce nella notte le aveva ordinato: «Corri alla grotta e sarai guarita». Ormai prossima al parto, aveva preso con sé i due più piccoli dei suoi quattro figli, camminato per quasi 7 chilometri, tuffato nella sorgente la mano destra rattrappita da 18 mesi in seguito alla caduta da una quercia, su cui s’era arrampicata per bacchiare le ghiande da dare in pasto ai maiali. E subito aveva recuperato l’uso completo dell’arto. Era il 1° marzo 1858. «Miracolo», decretò quattro anni dopo il vescovo di Tarbes. «Guarigione inspiegata», commenta il dottor Alessandro De Franciscis, medico permanente e presidente del Bureau des constatations médicales di Lourdes, che sta bene attento a non usare mai l’aggettivo inspiegabile: «Sarebbe un atto di presunzione da parte mia».

Da allora è accaduto altre 66 volte. In tutto 67 miracoli, o guarigioni inspiegate, per le più disparate, devastanti, esiziali patologie: adenite fistolizzata alla base del collo, emiplegia sinistra da 24 anni, ulcera della gamba destra con cancrena molto estesa, tubercolosi polmonare cavitaria, neoplasia addominale, cecità e paralisi degli arti inferiori, cancro del collo uterino, sclerosi a placche, aracnoidite della fossa posteriore, sarcoma dell’anca sinistra, morbo di Hodgkin, morbo di Addison, morbo di Budd-Chiari, morbo di Bouillaud. Tutti scomparsi dopo l’immersione nell’acqua che sgorga dalla Grotta di Massabielle, dove una quattordicenne analfabeta di nome Bernadette Soubirous - secondo quanto stabilito ufficialmente 150 anni fa dalla Chiesa - vide per 18 volte, dall’11 febbraio al 16 luglio 1858, colei che il 25 marzo, come oggi, proclamò: «Io sono l’Immacolata Concezione». Sono più di 7.000 le guarigioni avvenute finora a Lourdes e ritenute misteriose dalla scienza, compresa quella che portò alla conversione di un chirurgo positivista e agnostico di Lione, Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina nel 1912, che così la descrisse: «Non dimenticherò mai l’esperienza sconvolgente, di quando vidi come una grossa formazione cancerogena sulla mano di un lavoratore si riduceva davanti ai miei occhi a una piccola cicatrice. Non posso capirlo, ma non posso dubitare di ciò che ho visto».

Il compito del suo collega De Franciscis, 15° presidente - il primo italiano - dell’Ufficio delle constatazioni mediche istituito nel 1883 dal dottor George Dunot de Saint-Maclou, è appunto questo: verificare le presunte guarigioni. E quindi studiare le cartelle cliniche esibite dai pazienti guariti, esaminare lastre e vetrini, consultare i colleghi e infine decidere se portare il caso al Cmil, il Comité médical international di Lourdes composto da 34 luminari della medicina (solo tre gli italiani, compreso lui, che ne è di diritto il segretario generale), primo passo di un’istruttoria che durerà anni e che si concluderà con l’eventuale riconoscimento del miracolo da parte della Chiesa.

Avendo l’ufficio a 200 metri dal santuario mariano, il dottor De Franciscis è fra tutti i medici del mondo quello più vicino al mistero. Nessun altro luogo di culto, di nessun’altra religione, dispone infatti di un gabinetto scientifico super partes come quello presente a Lourdes. «In realtà io credo d’essere il medico più buffo del pianeta: la gente viene da me non perché sta male, ma per dirmi che è guarita». Napoletano, 56 anni, pediatra, specializzato in epidemiologia ad Harvard, il capo del Bureau vive e lavora dal 2009 nella piccola cittadina dei Pirenei. Per statuto resterà in carica fino alla pensione. Una scelta irrevocabile: dopo due anni d’aspettativa, s’è dimesso dal dipartimento di pediatria dell’Università Federico II dov’era docente e ricercatore. Una carriera nella tradizione di famiglia: suo padre Pietro, che fu ordinario di fisiologia umana all’Università di Napoli, si stava perfezionando alla Yale University quando conobbe a West Hartford, nel Connecticut, la futura moglie Rosemary, oggi vedova novantenne residente a Caserta.

Da quando è stato nominato, De Franciscis ha convocato il Bureau solo cinque volte. Il primo anno le dichiarazioni di guarigione che ha raccolto e ritenuto veritiere sono state 38, il secondo 33, il terzo 48. Nel caso di tre pazienti italiane, Luigina Traverso, Danila Castelli e Antonietta Raco, le modalità di guarigione sono state giudicate dal Bureau «inspiegate allo stato delle attuali conoscenze medico-scientifiche» e trasmesse al Cmil, che dovrà emettere il giudizio definitivo. Luigina Traverso, 78 anni, è una suora di Casale Monferrato guarita dopo una serie di inutili interventi chirurgici alla colonna vertebrale che l’avevano ridotta a vivere sdraiata nel letto in posizione fetale. Danila Castelli, 66 anni, di Bereguardo (Pavia), moglie di un ginecologo e madre di quattro figli, stava morendo per una forma tumorale del tipo feocromocitoma, che le provocava il rilascio di catecolamine con punte ipertensive fino a 300.

Antonietta Raco, 52 anni, lucana di Francavilla sul Sinni, da molto tempo malata di sclerosi laterale amiotrofica e costretta dal 2005 in carrozzella, ha ricominciato a camminare dopo il pellegrinaggio a Lourdes.

Ma lei è lo stesso De Franciscis che militava con Ciriaco De Mita nella Dc, poi transitato nel Ppi ed eletto deputato con l’Ulivo, uscito dalla Margherita e passato all’Udeur di Clemente Mastella, infine approdato nel Pd al seguito di Francesco Rutelli?
«Quel De Franciscis non esiste più. È finito il 4 marzo 2009, giorno in cui mi dimisi da presidente della Provincia di Caserta per venire qui».

Perché hanno scelto proprio lei?
«Deve chiederlo a monsignor Jacques Perrier, vescovo di Tarbes e Lourdes. Io non lo conoscevo. Doveva sostituire il dottor Patrick Theillier, che a 65 anni andava in pensione. Il presule chiese informazioni su di me a una persona, che gli rispose: “Non accetterà”».

Invece ha accettato.
«Dopo quattro mesi di travaglio interiore».

«Quando il vescovo mi ha chiamato, ho pensato: ci sono 108 presidenti di Provincia in Italia e un solo responsabile del Bureau médical di Lourdes».
«Dissi così. Una dichiarazione un po’ ruvida. La verità è che in questa scelta ho visto riallacciarsi tutti i percorsi della mia vita. Mi meraviglio d’aver impiegato quattro mesi a dire di sì. Bastavano poche ore».

Ricorda la sua prima volta a Lourdes?
«Da bambino con i miei genitori. Nel giugno 1973 ci venni come barelliere col treno bianco dell’Unitalsi e scoprii il pianeta della malattia, dell’handicap. Da allora ci sono tornato tutti gli anni. Durante il pellegrinaggio alla fine dell’esame di maturità decisi che mi sarei iscritto a medicina per diventare pediatra».

Perché proprio questa specialità?
«Perché mi misero di servizio alle piscine, alla vasca dei bambini. Vidi di tutto. E mi chiesi: se il Padreterno esiste e ci ama, come può permetterlo? Allora non sapevo che questo è il dilemma della teodicea, cioè della giustizia di Dio in rapporto all’esistenza del male. E più stavo dentro l’acqua e più soffrivo. Fino a quando, a sera, non scoppiai a piangere nell’assistere un adolescente cieco dalla nascita. È quest’esperienza che mi ha consentito per anni di dire ai miei studenti: guardate che la domanda di senso sulle malattie, sulle disabilità, sulle deformità nei bambini, che è poi la stessa di Giobbe, la domanda di sempre dell’uomo, è legittimo porsela».

In che modo funziona il Bureau?
«Un tempo era diretto da un medico famoso a fine carriera che riceveva questo titolo onorifico e ricopriva l’incarico fino alla morte. Dal 1972 la nomina è legata a un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con uno stipendio corrisposto dalla diocesi. Il Bureau si compone di quanti medici sono presenti a Lourdes nel momento in cui decido di convocarlo. Il che avviene quando ricevo da un collega la segnalazione di un presunto evento miracoloso».

Come fa a sapere il numero dei medici presenti a Lourdes?
«Vi è un registro con i loro nomi e gli alberghi in cui soggiornano. Nel 2011 ne sono transitati 2.534. Ciascun medico, anche se ateo, può consultare la cartella clinica e dare un’opinione sul caso. Nel Bureau parliamo di medicina, non di fede o di filosofia. E c’è la massima collegialità nelle decisioni. Agisco come il dottor House: ascolto le varie diagnosi e traggo le conclusioni».

Dei 67 miracolati, 55 erano francesi, 6 italiani, 3 belgi, uno tedesco, uno austriaco e uno svizzero. Solo europei. E ben 53 di loro erano donne. Strano.
«Forse perché le donne credono di più, avrebbe detto Bernadette. Che si arrabbiava moltissimo quando sentiva raccontare che l’acqua della sorgente era magica. L’acqua è acqua. È la fede che ci mettiamo a fare la differenza».

Dal 1858 in media un miracolo ogni 840 giorni, all’incirca. Furono molto più frequenti le guarigioni operate da Gesù nei tre anni di vita pubblica.
«È un errore soffocare nelle statistiche gli avvenimenti di Lourdes. Il cuore di Lourdes non sono le guarigioni. Il miracolo di Lourdes è Lourdes».

A quanti episodi inspiegabili, anzi inspiegati, ha assistito fino a oggi?
«A meno della metà di quelli che sono accaduti. E glielo assicuro da scugnizzo napoletano, che ha facilità di contatto umano e dunque si sente spesso dire dal tassista, dal negoziante o dall’albergatore di Lourdes: “Dottore, ha saputo di quella signora col tumore al pancreas?”. Oppure: “Dottore, ha sentito che cos’è accaduto l’altrieri?”. Attorno a me odo il riverbero di tanti prodigi riguardanti pazienti che hanno voluto tenerli per loro».

Quali sono i criteri applicati dalla Chiesa per dichiarare un miracolo?
«Gli stessi fissati dal cardinale Prospero Lambertini, eletto papa nel 1740 col nome di Benedetto XIV, quello che concesse l’imprimatur alle opere di Galileo Galilei. Sette criteri di assoluto buon senso, fissati per mettere un freno agli abusi dei nobili, nel cui albero genealogico si rintracciava sempre qualche santo o beato per intervenuto miracolo. Primo: che la malattia abbia una prognosi grave. Secondo: che la diagnosi sia certa. Terzo: che la malattia sia organica. Quarto: che nessuna terapia possa spiegare la guarigione. Quinto: che la guarigione sia istantanea, inattesa e improvvisa. Sesto: che sia completa. Settimo: che sia durevole nel tempo».

La comunità scientifica internazionale accetta questi criteri?
«Non c’è conflitto tra fede e scienza. L’atto di fede è irrazionale per definizione: io credo nella risurrezione dei morti e lei è autorizzato a darmi del pazzo. Ma se io le dico che la signora Danila Castelli era affetta da feocromocitoma, questo è un fatto provato dai vetrini istologici e dalle cartelle cliniche degli istituti universitari dov’era stata ricoverata senza esito alcuno. Tenga presente che le guarigioni di Lourdes non vanno contro le leggi di natura. Per capirci, non s’è mai vista alla Grotta una persona con sindrome di Down guarire dalla trisomia 21. Solo nel milagro de los milagros, accaduto presso il santuario della Virgen del Pilar a Saragozza, al mendicante Miguel Juan Pellicer fu restituita la gamba destra amputata due anni prima. Ma siamo nella Spagna del 1640 ed è un caso su cui, nonostante l’ampia documentazione esibita da Vittorio Messori nel libro Il miracolo, io personalmente nutro amplissimi dubbi. Però non chieda a un povero medico che cosa debba o non debba fare Dio, al quale nulla è impossibile. Io osservo e basta».

Che cos’ha di particolare Lourdes rispetto a Fatima o a Medjugorje?
«Qui non risponde il medico. Da credente mi sono fatto un’idea: l’Immacolata Concezione è la perfezione del creato che ha voluto convocare la più imperfetta delle creature. Bernadette Soubirous era una ragazza povera, ignorante, molto malata. Morì di tubercolosi a 35 anni tra sofferenze atroci. Non mi pare una storia di successo. Ho conosciuto molte persone miracolate a Lourdes, fra cui Marie Bigot, Elisa Aloi, Vittorio Micheli, Delizia Cirolli. La prima cosa che ho chiesto a ognuna di loro è stata: che cosa ricorda della guarigione? Tutte mi hanno risposto, e non potevano essersi messe d’accordo: “Perché è accaduto proprio a me?”».

È vero che all’analisi spettrografica le acque dei santuari mariani rivelano una frequenza sempre uguale e diversa da tutte le altre, tanto da essere definite «acque a luce bianca»?
«Quella di Lourdes è una buona acqua di montagna, con particolari iridescenze. Il professor Luc Montagnier, il premio Nobel che ha scoperto il virus Hiv responsabile dell’Aids, ha chiesto di poterla studiare insieme».

Non sarebbe più giusto affidare il suo incarico a un medico non coinvolto spiritualmente, per esempio a un ateo?
«Domanda accattivante. Bisognerebbe però dimostrare che il fatto di essere cattolico mi rende un po’ più cretino come medico. Blaise Pascal sosteneva che Dio ha messo nel mondo abbastanza luce per chi vuole credere, ma ha anche lasciato abbastanza ombre per chi non vuole credere».
(588. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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