Sui social si posta di tutto: frasi poetiche o pensieri banali, battute più o meno esilaranti e insulti, notizie importanti e altre che interessano solo chi scrive, scatti che ritraggono la vita quotidiana o Gif. E tanto altro. Il tutto per attirare l’attenzione di chi guarda lo schermo, magari per avere un like o un’altra forma di apprezzamento.
Non mancano foto che immortalano momenti di intimità e della vita privata di un utente. Sui social, come è anche giusto che sia, si lanciano messaggi che raccontano le proprie emozioni ed i propri sentimenti. Un modo, questo, per condividere con altre persone i momenti belli e brutti della quotidianità e per sentirsi meno soli quando tutto sembra andare male.
Nei limiti del rispetto delle leggi e del vivere civile, ognuno è libero di pubblicare ciò che desidera. Indubbiamente, però, ci sono post che lasciano senza parole e che sono destinati a far discutere. In questo caso rientra quanto ha fatto nelle scorse ore il sociologo delle comunicazioni di massa e produttore televisivo Max Boscia. Il noto personaggio ha pubblicato sul suo profilo la foto del cadavere del padre Ascanio, morto due giorni fa a 97 anni, composto nel suo letto in giacca e cravatta accompagnato dal messaggio: “Ti voglio bene papà”.
Un modo per lenire il dolore? O la necessità di fornire una notizia ad amici e parenti? O, ancora, il desiderio di apparire spettacolarizzando un evento, la morte, drammatico? L’immagine è forte e cattura un momento che dovrebbe essere privato.
Centinaia i like e i commenti alla foto di questo vecchio signore. Molti hanno espresso cordoglio ma non poche persone hanno sentito il dovere di prendere le distanze dalla “socializzazione” dello scatto. Non perché la morte non deve essere raccontata ma perché ritengono sbagliato il modo con cui è stata enunciata.
Basta riflettere su questo. Sarebbe bastata la semplice frase “Ti voglio bene papà” a raccontare la triste storia e ad emozionare chi legge. Altresì, sarebbe stata diversa una pubblicazione di una vecchia foto del genitore quando, però, quest’ultimo era in vita, con un pensiero per far trapelare i propri sentimenti. La diffusione di uno scatto così intimo in un momento di dolore sembra eccessivo e fuori luogo.
Ad esempio, tra i primi a criticare la scelta è stato Gerardo Amendola: “Mi dispiace... ma non ammetto queste intime spettacolarizzazioni. Non lo trovo corretto”. Carmen Famiglietti non è meno tenera: “No, ma davvero... stiamo perdendo il senso”. Fa eco Massimo Italiano, fondatore dell' Upstroke: “Condoglianze per tuo padre... permettimi di dire che la scelta di mettere questa foto la trovo di cattivissimo gusto!”
E ancora il rapper Ludo Brusco: “Condoglianze Max, però scusa se mi permetto ma credo sia un' immagine tua intima che eviterei di far guardare ai ragazzini che si collegano su fb, poi sono scelte tue”. Infine, la conduttrice Lorenza Licenziati: "Max ma sei impazzito anche tu? Tra flebo, malattie ed ospedali ma come fate a pubblicare queste foto? Io sono esterrefatta”.
In passato si usava fotografare un caro defunto. Ma il motivo non era la spettacolarizzazione di un evento inevitabile ma pur sempre traumatico. In epoca vittoriana vi era l’usanza delle fotografie post mortem, pratica caduta in disuso attorno a metà del ‘900. In quel tempo scattarsi una foto era complicato e costoso.
Molto spesso, una immagine era l’unico ricordo che i genitori avevano dei loro figli. Per questo, i soggetti erano per lo più ritratti come se ancora fossero in vita, con gli occhi aperti o addirittura impegnati in attività quotidiane.
Oggi le cose sono cambiate.
È il tempo dei social e tutti posseggono uno strumento per scattare una foto. Proprio questa combinazione consente di abbattere barriere dell’intimità che sembravano insuperabili. Poi ognuno ha una sensibilità differente.
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