Il gesuita bergogliano razzista con i calabresi

Il gesuita bergogliano razzista con i calabresi

«Il Gesuitismo, avversando in ogni cosa la forza, la creazione, la vita, deve essere nemicissimo del genio italiano». Sono parole di Vincenzo Gioberti nel Gesuita moderno (1846) una delle grandi opere di filosofia politica del nostro Risorgimento. Mi sono venute in mente leggendo un tweet di Bartolomeo Sorge: «Due Italie. Emilia-Romagna, benestante, guarda al futuro, rinvigorita dalla linfa nuova delle sardine. Calabria: ferma al palo, si affida al congenito antimeridionalismo della Lega. Senza speranza».

Aveva ragione il grande Gioberti: i gesuiti non sembrano amare molto l'Italia. E Sorge dei Gesuiti è una delle massime autorità: da sempre nella rivista Civiltà cattolica, che diresse, è anche teologo di qualche pregio. Non siamo rimasti sorpresi dall'intervento di un prete a gamba tesa nella politica politicienne, e non solo perché in Emilia-Romagna abbiamo visto scene che ci trasformano in convinti abolizionisti del Concordato. Sorge, infatti, ha sempre fatto politica, fin da quando era consigliere del sindaco Leoluca Orlando nella Primavera palermitana, l'Orlando giustizialista e anti Giovanni Falcone, per intenderci. Oggi Sorge è tra i principali consiglieri di Bergoglio, gesuita anch'egli, come tutti sanno. I gesuiti contro cui si scagliava il nostro Gioberti erano però di altra pasta e livello. A parte che allora erano sanamente reazionari, mentre quelli di oggi sono tutti sinistrorsi, anche di quella estrema e comunista. Soprattutto, per quanto fossero gesuiti, erano pur sempre cristiani. Mentre non è molto cristiano contrapporre i benestanti, colti, saggi, civili, abitanti dell'Emilia e i pezzenti calabresi, irretiti dalla demagogia salviniana. Ma si sa, per gli agit prop rossi, e Sorge rosso lo è, chi vota a sinistra è civile, chi non lo fa diventa un poveraccio, un ignorante, un becero. Allo stesso modo, se il meridionale vota Zingaretti, si è redento, se invece sceglie il centrodestra è il solito nullafacente, che si lascia comprare per una scarpa (la seconda, dopo il voto, se il candidato ha vinto). Esattamente come per i liberal americani, se un nero è anti Trump vuol dire che conosce i suoi diritti, se vota Trump è uno «zio Tom» o «nero da cortile». Del resto, non abbiamo letto su qualche giornale che l'aumento della partecipazione elettorale in Emilia è venuta grazie alle sardine, in Calabria grazie alla 'ndrangheta? Ovviamente se invece di Jole Santelli avesse vinto Callipo, sai le lodi al «Mezzogiorno democratico che ha preso in mano il proprio destino», come l'aveva preso in mano ai tempi di Agazio Loiero e di Mario Oliviero, governatori della sinistra, di cui i calabresi non hanno esattamente un ricordo esaltante.

La cifra dell'ipocrisia caratterizza la sinistra di oggi, che non ha timore a rinfocolare stereotipi razzisti contro i propri compatrioti (i calabresi) ma anche «classisti» contro quegli emiliano-romagnoli rei di non aver votato Bonaccini: cosi ecco gli zotici dell'Appennino oppure i cafoni della Bassa che hanno plebiscitato Borgonzoni. Un'ipocrisia che è il portato di una sinistra ormai minoranza nel paese (a parte a Stalingrado) e priva ormai di qualsiasi trasporto verso la nazione.

Certo più inquietante che queste posizioni vengano dalla Chiesa italiana che, sì, è un'istituzione universale e transnazionale: ma per San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la nazione era indispensabile. Mentre invece oggi molti esponenti del clero, come il Giorgio Gaber della canzone omonima, «non si sentono italiani». Anche se, purtroppo per noi, lo sono.

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