Cronache

I bamboccioni per legge

È solo una storia di provincia. Niente star, niente celebrities, nessuno che conta

I bamboccioni per legge

È solo una storia di provincia. Niente star, niente celebrities, nessuno che conta. Una giovane donna di 24 anni, che non lavora, fa pignorare la pensione al padre, ex autista di un'azienda di trasporti, per finanziarsi l'Università dove non ha mai sostenuto un esame. Di storie così ne abbiamo lette tante negli ultimi anni. Molte nelle regioni meridionali, dove giudici dal cuore d'oro imposero a padri settantenni di mantenere figli anche oltre i quaranta in ossequio alla paternità, condizione dai mille doveri e nessun diritto. Ma anche in Veneto, Piemonte, un po' ovunque. Regioni dell'Italia laboriosa, cresciuta sul principio: o si studia o si lavora, e altrimenti si fanno le valigie, e si affronta la vita da soli. Roba vecchia, cui oggi non crede più nessuno, a partire dai giudici. Roba che valeva quando si ragionava pensando innanzitutto allo sviluppo dei figli, che famiglia e istituzioni dovevano educare a diventare adulti capaci di affrontare la vita da soli. Senza ricattare tutta la vita altri, i genitori prima e la «società» poi. E badando anche alla sopravvivenza dei genitori, per mantenergli un tetto sopra la testa e non farli morire di fame.

La bussola per produrre regole per la crescita dei figli e la sopravvivenza dei vecchi era semplice. I genitori fornivano l'educazione, obbligatoria fino alla «maggiore età», quella della cittadinanza. Dopo di che i figli o lavoravano, o studiavano, o facevano entrambe le cose. Ma era escluso che non ne facessero nessuna. Nel loro interesse innanzitutto. È infatti noto da sempre (ne parlano già i trattatelli di pedagogia latina e greca, come le Lettere a Lucilio di Seneca) che non c'è modo più sicuro di affondare un giovane che finanziargli degli studi che poi non fa. Si tratta di una pubblica autorizzazione a rovinarsi. È anche il modo migliore di demolire da subito l'autostima (il «senso di sé») del giovane, che da allora in poi si sentirà a tutti gli effetti un buono a nulla, un incapace patentato dal giudice, che mette sul lastrico il padre pensionato pur di non andare a lavorare facendo quello che sa, poco o tanto che sia. Il fare invece quel che sai, e se non sai nulla impararlo alla svelta, salverebbe il giovane più di cento iscrizioni universitarie fantasma a carico di padri sbriciolati dalla vita e dalle ex mogli titolari di affidamento del figlio con assegno di separazione. È allora che il figlio, finalmente, potrebbe provare se stesso e le sue capacità di cavarsela, e uscire dall'infinito prolungamento della simbiosi con la madre, ricatto del padre, e rovina della vita di tutti e tre con autorizzazione del giudice. È ciò che qualsiasi psicoterapeuta di buon senso aiuta un figlio a scoprire: il pasto più nutriente è quello che ti guadagni tu. Ma un'intera giurisprudenza in Italia lo nega. La cosa non sorprende. Il nostro debito pubblico, il macigno che schiaccia la vita del Paese e quella di tutti noi è costruito su questo stesso principio: a pagare è sempre un altro, non chi poi intasca quei soldi per non fare ciò che deve. Paga chi ha lavorato per decenni, e magari adesso non ha nemmeno più il lavoro. Questa storia, però, deve finire. Così non si sviluppa niente e nessuno, né i giovani, né il Paese. Ogni anno le associazioni imprenditoriali pubblicano gli elenchi degli impieghi rimasti scoperti, con grave danno per l'intero sistema produttivo. Sono decine di migliaia.

I giudici ci buttino un'occhiata, prima di sequestrare la pensione ai padri pensionati.

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