Cronache

I giallorossi mettono a rischio i nostri soldati

I giallorossi mettono a rischio i nostri soldati

Presidente Mattarella salvaci tu. All'indomani dell'uccisione di Qassem Soleimani, l'Italia si ritrova al centro d'una bufera politico-militare che minaccia migliaia di nostri militari dispiegati tra Asia, Medioriente e Nord Africa. Una bufera in cui - causa debolezze e divisioni dell'esecutivo - ci muoviamo a tentoni, senza una politica estera incanalata in un solido quadro di alleanze. L'instabile strategia in cui operano le nostre missioni all'estero è resa ancor più labile dalle contraddizioni del governo giallo-rosso.

Alla vigilia del suo secondo mandato il premier «Giuseppi» Conte tentò d'ingraziarsi Donald Trump mettendogli a disposizione i nostri servizi segreti per risolvere i misteri del Russiagate. A neutralizzare le sue mosse ci han pensato Pd e Cinque Stelle. Nell'ambito della sicurezza nazionale e della destrutturazione del naturale quadro di alleanze i Cinque Stelle sono però i veri signori del caos. Luigi Di Maio, premiato con una carica da ministro degli Esteri che rappresenta una sorta di ossimoro delle sue competenze, sta puntualmente eseguendo le istruzioni impartitegli da Beppe Grillo, e da una Casaleggio Associati decisa a spostare su Pechino l'asse degli scambi economici. Non a caso Di Maio non ha mai condannato né la repressione delle manifestazioni anti regime in Iran, né quelle anti-Pechino in corso ad Hong Kong. Ministro che ieri, solo in tarda serata, pubblica una nota che non dice nulla: «Massima moderazione e mostrare responsabilità in questo momento. Siamo tutti concordi sul fatto che un'altra crisi rischia solo di compromettere anni di sforzi per stabilizzare l'Iraq». La situazione è resa più inquietante dalle visite di Beppe Grillo all'ambasciatore cinese e dall'indifferenza della Farnesina di fronte alle mosse di Pechino per bloccare la partenza di Joshua Wong, il leader dei dissidenti di Hong Kong atteso in Italia per delle conferenze.

A rendere ancor più perplessa l'amministrazione Trump s'è aggiunto il tour americano di Nicola Zingaretti. Un tour durante il quale il segretario Pd ha ignorato l'attuale amministrazione per incontrare Bill Clinton e Nancy Pelosi, la leader democratica portabandiera dell'impeachment. Due mosse che hanno spinto Trump a scaricare «Giuseppi» e abbandonare l'Italia nel pantano Libia. Lì la lunga mano dell'Iran ancora non arriva, ma i nostri trecento e passa soldati dispiegati all'aeroporto di Misurata rischiano di finire nel mirino di un Erdogan che potrebbe prima invitarci a sloggiare e poi usare qualche comparsa libica per colpirci. Il tutto mentre la posizione di un'Italia, schierata fino a ieri con Tripoli, resta indecifrabile.

In Irak non va meglio. Lì abbiamo settecento uomini impegnati nell'addestramento delle forze di sicurezza irachene e dei pasdaran curdi. Nonostante i contatti intrattenuti dalla nostra intelligence con le milizie sciite filo iraniane il contingente può venir visto come il ventre molle dello schieramento filo-americano e diventare un potenziale obbiettivo. È quanto mai urgente, quindi, capire se vi siano degli interessi nazionali che ne giustificano la presenza per deciderne l'eventuale impiego al fianco dell'alleato americano o, al contrario, il rientro a casa. Non va meglio in Afghanistan. Lì gli ottocento militari impegnati nella missione Nato «Resolute Support» (Sostegno risoluto) per l'addestramento di esercito e polizia operano in quell'Ovest del Paese da sempre esposto all'influenza di Teheran. Anche lì dunque possiamo diventare facili obbiettivi. In Libano i nostri «caschi blu» inquadrati nella missione Unifil guidata dal generale Stefano Del Col rischiano, nel caso di un nuovo conflitto, di ritrovarsi schiacciati tra le milizie di Hezbollah e le forze armate israeliane.

In questo frammentato quadro politico risulta ancora una volta centrale la figura del Presidente della Repubblica.

Solo lui attraverso quel Consiglio Supremo di Difesa in cui rappresenta l'indiscussa autorità può correggere le contraddizioni di un governo incapace e dettare una politica adeguata a difendere i nostri interessi nazionale ed evitare inutili rischi ai nostri militari.

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