«Mi piace l’Italia, mi piace da morire. Mi piaceva già prima di quello che mi è accaduto, adesso adoro ogni sua sfumatura, ogni suo vicolo, ogni suo terrazzino fiorito, ogni sua testimonianza di libertà. Perchè finchè non te la tolgono, la libertà, non ti rendi nemmeno conto di averla».
Amani El Nasif, ha 23 anni, una figlia e il coraggio di 300 spartani alle Termopili. Vive a Bassano del Grappa, porta in giro per l’Italia il suo libro, Siria Mon Amour, che è una dichiarazione d’amore e un grido di battaglia. È una ragazza di confine tra due mondi, tra due epoche, tra due civiltà. Bella e infrangibile come un diamante.
Nel tuo libro ti racconti così: mi piace la Pausini, mi piacciono i Placebo, i bignè al cioccolato, mi piace ballare, ma non mi piace il calcio. Ecco: perché non ti piace il calcio?...
«Ma si, scherzavo – ride - Non mi piace il calcio ma mi piacciono i calciatori...».
Scherzavo anch’io. Perché la tua storia è dura. É la storia di una ragazzina italiana, anche se nata in Siria, che sei anni fa aveva 16 anni, un fidanzato, i jeans, quasi un lavoro. Poi un giorno la mamma le compra un biglietto per Aleppo...
«Mi dicono: è per un errore sul passaporto. Una vocale sbagliata sul mio cognome. Se non ho i documenti in regola non posso lavorare in Italia. Per questo devo andare in Siria: per sistemare una vocale. Non certo per morire, o giù di li...».
Però eri felice di conoscere il paese dove sei nata...
«La Siria l’avevo conosciuta solo sui libri di scuola e su Google. La Siria dell’Eufrate, della Mesopotamia. Ero sicura che mi avrebbe affascinato con i suoi colori e i suoi silenzi. Mi presentai all’aeroporto in jeans bianchi, maglietta, bianca, capelli piastrati, unghie dipinte di rosso e Ray-Ban nuovi. Avevo però dentro un vago senso di inquietudine...». Ad aspettarti sul letto trovi un velo e tre vestiti... «Da indossare uno sopra l’altro. Quello da quel giorno avrebbe dovuto essere il mio abbigliamento. Quel giorno ho scoperto che esistono mondi paralleli che seguono la stessa linea del tempo. Io ero finita dentro uno di quei capitoli di storia dove si parla di una popolazione remota, ormai estinta».
Il peggio però doveva ancora arrivare...
«Scopro la verità. Mi dicono che sono stata portata in Siria per sposare un cugino, cattivo e violento, che non tornerò mai più in Italia, che dovrò vivere sottomessa. Dovevo diventare niente. Perché lì le donne sono niente...».
Scrivi: la donna è peccato per il solo fatto di esistere.
«Le donne in Siria si sentono peccato nel vivere, si sentono peccato nel respirare. Si svegliano la mattina e pensano: ho già sbagliato perchè non ho dormito con il velo in testa. La donna deve vivere sottomessa e se non obbedisce viene picchiata a sangue, le donne devono stare sotto le scarpe degli uomini». In Siria subisci violenze fisiche e psicologiche, ti riempiono di botte e di medicinali, vivi una vita da segregata, nessuno ti difende, nessuno è dalla tua parte. «Un giorno il mio promesso sposo mi vede salutare un cugino con la mano. Un gesto semplice, normale, ma che scatena la sua furia. Dalle botte finisco in ospedale. Mentre mi massacra dal cellulare che avevo nascosto nei calzini parte la chiamata per Andrea, il fidanzatino che avevo in Italia. Ha sentito tutte le mie urla ed è uscito completamente di testa. Ha pensato mi hanno ammazzato Amani».
Cosa ti salva la vita, cosa ti fa tornare in Italia?
«Uno zio e la mia forza di volontà. Io ho lottato per tornare. Questo devono capire le ragazze che si trovano a vivere una situazione come la mia, devono tenere i denti stretti, devono esplodere di energia, di entusiasmo per la lotta. Io ero talmente piena di vita che non abbassavo la guardia mai. Per 399 giorni non mi sono mai piegata anche se tutto il mondo era contro di me. Mi dicevo: non mi avranno mai. Piuttosto morta...».
Ci sono altre ragazze in Italia in situazioni come questa?
«A Rimini conosco una ragazza durante una presentazione, mi dice: grazie alla tua storia adesso ho il coraggio di denunciare i miei genitori. Mio padre mi picchia, non vuole che io vada a scuola, mia madre è complice. Io voglio andare a scuola, non voglio portare più il velo. Ci siamo scambiati i contatti, ci siamo sentiti su facebook per un pò...»
E poi...
«Passa del tempo, mi dice che deve partire per una vacanza con i suoi genitori, che la situazione in casa era cambiata, il biglietto aereo era andata e ritorno. Ho pensato: anche il mio lo era... É arrivata in Marocco ed è sparita nel nulla. Ce ne sono tantissime come lei.
La scuola cosa fa?
«Molte prof mi dicono: ma noi come possiamo aiutarle? Una mi racconta: ho una ragazza indiana, diciotto anni, il padre ha scoperto che ha un fidanzato. Gli ha detto: o ti sposi il ragazzo o torniamo in India o ti ammazzo. Scegli tu. La prof ha avuto il coraggio di andare dal padre. Lui non è una persona cattiva: è che pensa di essere nel giusto. Che è peggio di essere cattivi».
Te lo chiedo anch’io: come possiamo aiutarle
«Non è facile perchè loro non parlano. Stanno zitte, non dicono niente, vivono nel loro piccolo mondo».
Perché non si ribellano?
«Per il terrore dei genitori. Tuo padre ti mette in un contesto di terrore. Io ricordo il mio con mia sorella. Lei lavorava in una fabbrica d’oro e poi subito a casa. Viveva praticamente in pigiama. Quando si ribellava le prendeva da sanguinare. Ma mia sorella rispondeva, ha un bel caratterino».
Perché non sono tutte come te?
«Io sono innamorata della vita. Io le donne le voglio libere. Fosse per me griderei libertà per le mie cugine, per le spose bambine per tutte le donne del mondo, per tutte le donne».
Adesso sei tornata in Italia, hai una figlia, la tua vita. Adesso come stai?
«Adesso sono felice...»
Hai chiamato tua figlia Vittoria perché la tua battaglia è finita con una vittoria...
«É così. Vittoria è una bambina bellissima: una forza della natura incredibile».
Certo, se ha preso da mamma...
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