La nemesi per Matteo Salvini arriva alle 19.23. Quando il suo ex alleato Luigi Di Maio annuncia che Rousseau ha detto «sì» all'accordo tra M5s e Pd. Ventisei giorni dopo lo strappo con cui il leader della Lega aveva improvvisamente decretato la fine del governo Conte invocando il ritorno alle urne, è proprio un voto quello virtuale dei 115mila iscritti alla piattaforma della Casaleggio Associati a formalizzare quella che per Salvini è una gigantesca sconfitta politica. Quegli stessi militanti che lo scorso febbraio lo avevano «salvato» con l'immunità sulla Diciotti, ieri hanno messo nero su bianco l'addio del M5s alla Lega e il via libera alla nuova alleanza con i dem.
Per Salvini, dunque, inizia quella che con ogni probabilità sarà una lunga traversata nel deserto. Nonostante le distanze siderali tra i nuovi alleati di governo, infatti, non c'è dubbio che l'obiettivo di entrambi sia quello di arrivare a fine legislatura. O, quantomeno, al 3 agosto 2021, giorno in cui si aprirà il semestre bianco. Da allora e per i successivi sei mesi, infatti, non sarà possibile sciogliere un Parlamento che a febbraio del 2022 eleggerà il successore di Sergio Mattarella. Una partita che M5s e Pd vogliono giocare in prima persona, come confermava ieri lo stesso Matteo Renzi: «La prospettiva è quella di eleggere il prossimo presidente della Repubblica». Il leader della Lega lo sa bene ed è consapevole di quanto scellerata sia stata questa crisi agostana. Non lo può dire, certo. Neanche con i suoi colonnelli, perché sarebbe l'ammissione di quello che è e resta un gigantesco autogol. Ma nella Lega l'imbarazzo e i dubbi sulla lucidità politica di un leader fino a ieri osannato e mai discusso sono palpabili.
Da ieri, dunque, è iniziata la grande rincorsa di Salvini. Che subito prova a marcare a uomo Di Maio. Mentre il leader grillino ancora sta parlando del voto su Rousseau, infatti, la chat del Viminale annuncia «a breve» la diretta Facebook dell'ormai quasi ex ministro dell'Interno. Il grande autoescluso prova a puntare sulle contraddizioni del futuro governo giallorosso, attacca «l'esecutivo delle poltrone» e «l'arbitro» Mattarella che «ha generosamente fischiato un rigore al novantesimo». Sono i primi fuochi di una lunga battaglia. Che Salvini giocherà con molti handicap. Il primo è il peccato originario di aver permesso lui la nascita di questo governo con una crisi al buio. Senza contare che ieri il voto su Rousseau ha in qualche modo «benedetto» il ribaltone grillino. Ma il leader della Lega dovrà avere anche la forza di tornare alle origini, non entrare in crisi d'astinenza da visibilità. Perché quando sei vicepremier e ministro dell'Interno ogni parola è un titolo, quando sei all'opposizione invece fai fatica a ritagliarti un servizio sui tg. Senza contare che ora non ci sarà più la macchina del Viminale a garantire spostamenti rapidi e comunicazione a tappeto.
Il tutto mentre sullo sfondo prende corpo una maggioranza che dopo aver approvato il taglio dei parlamentari si siederà al tavolo per scrivere una nuova legge elettorale proporzionale. Salvini griderà al golpe, ma lui ha fatto lo stesso nel novembre 2017 votando proprio con il Pd il Rosatellum bis. Passasse il proporzionale, Salvini non darebbe più le carte neanche se conservasse il suo 30% dei voti.
Lo sa bene anche Silvio Berlusconi, che non esclude di partecipare a un eventuale tavolo sulla legge elettorale. Chissà che l'ex premier non ne abbia parlato con Nicola Zingaretti nella telefonata che i due hanno avuto qualche giorno fa.
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