L'errore sovranista

L'errore sovranista

C'è un filo rosso che lega tra loro le due notizie, apparentemente distanti, che hanno caratterizzato la giornata di ieri. La prima è il forte richiamo del presidente Mattarella al governo perché si schieri, sulla crisi venezuelana, al fianco dei suoi alleati occidentali contro Maduro e a favore di Guaidó; la seconda notizia è l'Europa che si dice pronta a chiedere all'Italia ingenti danni economici se il governo, non rispettando i patti, bloccherà i lavori della Tav.

Il filo che unisce le due notizie è che ci stiamo infilando in un drammatico isolamento internazionale che ben presto avrà pesanti ripercussioni sulla vita quotidiana. Come se non bastasse la recessione, ecco pure l'autarchia, cioè la convinzione di bastare a se stessi sul modello Trump «prima l'America». Già, ma noi non siamo gli Stati Uniti, potenza economica e militare tale da poter mostrare i muscoli suscitando timore alle controparti. Noi siamo l'Italia, che è altra cosa e avanti così saremo chiamati a donare l'oro alla patria oggi diciamo patrimoniale - come fece Mussolini quando, nel 1935, ruppe con il consesso internazionale.

Mentre tutto attorno si crea il vuoto, questi sbandierano il reddito di cittadinanza come toccasana per l'economia, che un po' come quando per restare nello stesso parallelo storico - Mussolini annunciò che la crisi economica sarebbe stata superata con gli «orti di guerra» coltivati dai cittadini nelle piazze delle grandi città.

Sovranismi, nazionalismi e populismi hanno in sé un fascino storico, per altro funesto nelle sue conseguenze, che può accendere la credulità popolare. Ma se ripescati da un secolo fa e riproposti come se il tempo non fosse mai trascorso sono solo portatori di nuovi guai. È un po' come se Fiat avesse rimesso sul mercato, tuffandosi nel passato, la «500» com'era cinquant'anni fa e non come avvenuto proprio per questo con successo ripensandola con gli strumenti che la modernità e la globalizzazione avevano nel frattempo messo a disposizione.

Noi siamo per essere «padroni in casa nostra», ma a patto di essere buoni capi famiglia e, all'occorrenza, saper cambiare la lampadina e aggiustare il lavandino intasato. Altrimenti meglio chiamare qualcuno che ci sa fare. E magari non insultarlo come mette piede in casa.

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