Malika Ayane si racconta: "Temo più i razzisti dei terroristi"

Malika Ayane si racconta su Il Giorno: "Vivevo in periferia con una famiglia più dei che parenti"

Malika Ayane si racconta: "Temo più i razzisti dei terroristi"

Dall'infanzia nella periferia milanese, ai viaggi a Nizza con "una Golf stracarica", alla carriera da cantante fino all'impegno con l'organizzazione Oxfam: così ri racconta Malika Ayane su ilGiorno.

La paura del razzismo e l'impegno sociale

"Vivevamo in viale Ungheria, periferia milanese, in una casa molto piccola. In estate si partiva per il Marocco, su una Golf stracarica. Verso Nizza vedevi che le auto dei marocchini diretti a casa si moltiplicavano. Eravamo muniti prima di tenda canadese e poi di roulotte per ottimizzare le risorse in un viaggio così lungo: ci mettevamo cinque giorni": spiega la cantante. Una famiglia con "più dei che parenti", ammette Malika nell'intervista. E precisa: "Mia madre è cattolica, mio padre musulmano, mio nonno ebreo. L' educazione cattolica in quanto italiana è inevitabile: il senso di colpa, di solidarietà, di condivisione è fondamentale".

Questo però non l'ha mai fatta sentire emarginata "ma - come precisa al giornalista de IlGiorno - se tua mamma lavora in una casa con piscina e sette tate per i figli, non parlerei di emarginazione, ma del fatto che con quell' ambiente lì non c' entri niente. Però non ho mai vissuto con vittimismo: sono sempre stata dell' opinione che, finché non ti va a fuoco la casa o ti viene una malattia incurabile, i problemi non esistono". Non sono però mancati episodi di razzismo nella vita della 33enne: "- risponde secca alla domanda che le chiede se è stata vittima di episodi razzisti - ma ma penso che anche se non sei figlio di stranieri, sei grasso. Se non sei grasso, hai gli occhiali, se non hai gli occhiali hai i brufoli... C' è sempre un motivo per essere stronzi".

La cantante racconta anche la sua partecipazione all'associazione Oxfam, confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. "Sì, io dico sempre che è una Ong che fa bene ai razzisti - rispondendo sorridendo alla battuta del giornalista che le sottolinea come Oxfam abbia la filosofia de 'aiutiamoli a casa loro' - Non sono una politica, ma in tema di immigrazione penso questo: se io sono libera di decidere di andare a vivere a Berlino o a New York, perché un ghanese non può decidere di andare a Vercelli? Non capisco perché c' è gente che vuol mandare il figlio a studiare a Los Angeles, ma poi non vuole che un sudanese venga qui".

Poi ribadisce: "Siccome siamo un paese fortemente cattolico, non possiamo pensare di ributtarli in mare. Con Oxfam ho visitato le province più interne del Marocco, dove è una fortuna trovare un forno per cuocere il pane, così come ho visto i campi dei palestinesi in Libano che vivono lì dal 1946. Non ci si può meravigliare che la gente cerchi di scappare qui da noi, bisogna risolvere il problema all' origine. In un altro ambito, sa quanti italiani ci sono a Berlino? E sa quanti lavorano pochi mesi per poi chiedere il sussidio di disoccupazione? Non è così diverso. In Siria c' è la guerra. E se la guerra ci fosse a Milano, i milanesi cosa farebbero? Ma anche accoglierli e poi lasciarli lì a far niente non va bene: li alieni".

Impossibile non collegare immigrazione e terrorismo, parlano i fatti: "Gli autori degli attentati più recenti sono tutti nati qui, ma non sono riusciti a trovare una strada. Io sono più preoccupata dall'ondata razzista che dall'ondata terroristica.

Per ogni attentato corrisponde un' aggressione a una persona che magari non c' entra niente. Chi non è razzista? Quando vado a Berlino a comprare le sigarette, il mio tabaccaio turco mi tratta malissimo, perché il mio tedesco è ancora disastroso".

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